Di ritorno dalla premiere dell’ultimo successo di lui, il duo Zendaya e John David Washington (nel film per l’appunto la coppia Malcolm e Marie), rispettivamente un attrice mancata dal passato di tossico dipendenza e un narciso regista esordiente, esplode in un furibondo litigio. Il serrato confronto – tutto verbale – si muove tra accorati soliloqui, invettive infuocate, ripicche, improvvide recriminazioni e altrettanto affrettate riconciliazioni.
In quella che è forse la serata più importante per la carriera di Malcolm, è successa una cosa che a Marie non va proprio giù: salito sul palco, il suo fidanzato si è dimenticato di ringraziarla. Scopriamo che il film, combinazione, è proprio la storia di una ex tossica e Marie non solo ha avuto un ruolo di primo piano nella realizzazione del progetto, ma era anche in lizza per la parte di protagonista. Insomma alla domanda: “credi che il film sarebbe venuto altrettanto bene se non fossimo stati insieme?” Malcolm non può permettersi di fare spallucce. All’operazione di saccheggio nei confronti della sua storia personale si affianca la mancanza di riconoscimento difronte alla pletora di amici, colleghi, giornalisti e produttori riuniti. Ecco che in Marie nasce un’indicibile risentimento, fattore scatenate del turbine emotivo che andrà in scena.
Una piece che è un instant movie in tinte black and white, con l’ambizione di catturare le soffocanti atmosfere da lockdown. Due grandi interpreti reclusi in un’unica scenografica location che, aldilà degli outfit patinati, si affrontano nell’arco di una manciata di ore notturne proprio come farebbe una qualsiasi coppia disfunzionale e nevrotica messa all’angolo da tre mesi di convivenza forzata.
Di fatti Malcolm e Marie è il primo film in assoluto ad essere girato nel pieno della pandemia. Il regista assieme a troupe e cast (per un totale di massimo 12 persone alla volta) su un set blindato, tra quarantene e stringenti misure sanitarie, ha ultimato le riprese nell’estate 2020. È in un’ampia proprietà nella campagna californiana, dove sorge una villa fatta di enormi vetrate, che Levinson junior mette in scena la sua folgorante psicoanalisi di coppia.
Una travagliata relazione vivisezionata e impressa su 35m. Ci ha scommesso Netflix che acquisiti i diritti e fatto un breve passaggio in sala negli States, aggiunge il film al suo imponente catalogo on demand.
La chimica che si crea tra Zendaya e Washington nell’inscenare l’ingarbugliato diverbio tra innamorati è a dir poco rara, ma l’autenticità generale – parola che nel film ricorre più volte come elemento di contesa – è messa a dura prova da vari appesantimenti previsti in una sceneggiatura fin troppo teatrale. Il maestoso flusso di coscienza che si origina in una notte tanto impegnativa per la tenuta del rapporto, si traduce in dialoghi volutamente verbosi e responsabili di rendere l’opera ardua sfida di resistenza per alcuni e intrigante avventura di coppia per altri.
Da segnalare è l’uso sapiente della musica, la colonna sonora è tanto calzate da venire costantemente brandita dai protagonisti – armati di smartphone, impianto stereo Bluetooth e un account Spotify – nell’atto di inscenare musicalmente i propri pensieri e sentimenti. Interessante anche la lunga digressione a tema cinematografico: Malcolm, con l’arrivo delle prime recensioni sul nuovo film, promuove una pungente riflessione su tutto ciò che è antirazzista – o presunto tale – e politicamente corretto nel cinema di oggi, ma soprattutto sull’ipocrisia della Hollywood progressista.