La nave sepolta (The Dig) è un adattamento originale Netflix dell’omonimo romanzo di John Preston. Quello che fu probabilmente il più importante ritrovamento che si ricordi nella storia dell’archeologia britannica, raccontato dal regista teatrale Simon Stone e da due eleganti e garbati protagonisti, Carey Mulligan e Ralph Fiennes, una coppia all’antica, molto British.
Siamo a Sutton Hoo, nel Suffolk, Inghilterra. È il 1939, siamo alle porte del secondo conflitto mondiale. L’aristocratica Edith Pretty, vedova di un colonnello, incarica il pacato addetto agli scavi Basil Brown, di scovare cosa ci sia sotto quei vecchi tumuli di terra a due passi dalla sua villa nella campagna inglese. Scopriranno subito di condividere una viscerale passione per l’archeologia e per l’antico, “Noi riveliamo la vita. E’ per questo che scaviamo” dichiara lui. Una passione che li guida nell’impresa e gli impedisce di demordere dall’obiettivo, nonostante la guerra incomba e la salute di lei sia sempre più precaria: sotto il manto erboso c’è qualcosa, Edith e Basil ne sono quasi certi.
Ed effettivamente c’è, una nave vichinga o forse persino più antica affiora da quel terreno reso brullo dagli scavi di un’estate troppo breve e dall’epilogo drammatico.
Nel secondo atto di questa vicenda, quando appare chiara la portata storica della scoperta – il veliero è accompagnato perfino da un corredo funerario in oro e la data si attesta attorno al VI-VII secolo – il British Museum, con suoi baroni, fa capolino e sottrae al povero Basil e signora, le redini dell’operazione declassandolo a semplice manovale. Ecco che la chimica, tutta sul piano intellettuale, tra Mrs. Pretty e il signor Brown lascia il campo all’archeologo di fama inviato da Londra, la coppia di assistenti nonché coniugi in crisi, il cugino della padrona di casa destinato a far breccia nel cuore della sposa.
Incentrato su un ritrovamento archeologico, è di fatto un melodramma più che un film storico. Un dramma molto inglese si, ma pur sempre dall’impianto convenzionale, piacevolmente datato e privo di guizzi.
L’incombenza della guerra, la cagionevole salute della nobildonna, l’ingiustizia di uno scavo sottratto al merito del suo escavatore. In più, un interessante sottotesto nonché preziosa chiave di lettura per l’oggi.
Presente e passato sono legati a doppio filo, ma è il valore inestimabile di quest’ultimo che ci impone di preservarlo con maggior cura e attenzione. Cruciale è la capacità tutta umana di mettervisi in relazione, percependo il proprio essere e relative faccende, come poca cosa dinanzi all’immensità degli antichi. “Facciamo parte di qualcosa che continua, non moriamo mai davvero”, neppure di fronte a guerra e malattia.