“L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, questo il titolo del nuovo film di Sydney Sibilia per Netflix. Il regista del fortunato franchise Smetto quando voglio si cimenta nella riedizione cinematografica di un’incredibile storia vera, tornata a galla negli ultimi anni e finita al centro di libri e documentari (L’isola e le rose di Walter Veltroni che ritroviamo come consulente storico). 

Peccato però che l’eccezionalità di questa vicenda realmente accaduta, nel passaggio su pellicola rischi di sfumare quasi del tutto. 

Sibilia tende alla semplificazione, tra interpretazioni sull’onda dello stereotipo romagnolo, politici macchietta e varie inesattezze storiche, piega i fatti – molto interessanti al loro stato originale – agli scopi della narrazione.

Ma lo è, davvero incredibile, la storia di Giorgio Rose (nel film Elio Germano, sempre ottimo), ingegnere bolognese in lotta contro un mondo grigio e conformista che ha costruito tra il 1958 e il 1967 un’isola d’acciaio a 11km dalla costa riminese, da eleggere a suo personalissimo feudo. Per l’esattezza si trovava a 500 metri al di fuori delle acque italiane, così da finire in quelle internazionali e potersi dichiarare indipendente. 

Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, uno stato vero e proprio con tanto di stemma, bandiera, moneta, francobolli e lingua ufficiale, l’esperanto. La micronazione, nient’altro che una piattaforma di 400 metri quadri piazzata nell’adriatico in sfida al governo italiano, finirà presto abbattuta. In quel ‘68 infiammato dalla protesta, il governo dimissionario non intende includere nel suo lascito pericolosi precedenti e l’allora ministro degli interni (Fabrizio Bentivoglio insieme a Luca Zingaretti nelle vesti di premier) dopo un braccio di ferro burocratico ne dispone la distruzione. Nel film i 6 squinternati residenti, reggenti di un governo unilateralmente sovrano, sfidano in un atto di resistenza estremo l’incrociatore Andrea Doria inviato da Venezia, esponendosi al fuoco, cannoneggiati a un palmo dal naso. Nella realtà chiaramente ciò non accade, le forze dell’ordine prendono possesso dell’isola senza alcun atto di violenza e successivamente ne eseguono l’abbattimento.

Germano è un neolaureato, un po’ svitato, un po’ megalomane, non proprio in linea con il visionario ma ben più maturo Giorgio Rose, l’ingegnere che nel ‘57 si mise al lavoro sulla piattaforma. Isola d’acciaio che non venne eletta a luogo di bagordi, tantomeno a discobar galleggiante. L’afflusso di turisti nonostante la grande attenzione mediatica fu sempre limitato e dopo la dichiarazione di indipendenza, rapidamente interrotto con l’imposizione di un blocco navale. 

Il film Netflix si muove lungo due binari, lo sbando e la protesta civile, il rifiuto delle regole e la legittima aspirazione ad un mondo che non freni la creatività. Il mito dell’isola felice resta tale, ma viene alimentato bene. Questa volta Netflix non lascia nulla al caso, dal battage pubblicitario ai tanti contenuti caricati su YouTube, fino ad avvalersi della collaborazione di webstar e influencer, come già fatto dal suo diretto concorrente Prime Video. Insomma se da un lato Sibilia si incastra in un format da film per la tv che poco sfrutta le potenzialità di un buon soggetto, dall’altro ci pensa Netflix con la sua incredibile attività promozionale, ad attirare in massa l’utenza sull’Isola delle Rose.