2049, l’aria sul pianeta terra è irrespirabile. La “catastrofe” spinge i pochi residenti di un osservatorio tra i ghiacci dell’Artide a darsi alla fuga. Voli militari partono in tutta fretta alla volta dei rifugi sotterranei, a presidiare resta l’astronomo Augustine Lofthouse. E’ un George Clooney barbuto ed emaciato, dimagrito per l’occasione di ben 13 kili, tutti d’un fiato, tanto da finire ricoverato d’urgenza per pancreatite.
Nel film gli è andata anche peggio. La malattia terminale che lo affligge è legata alla scelta di restare: isolato da tutto e da tutti cerca invano di mettersi in contatto con la nave spaziale Aether, l’unica di ritorno da una missione che abbia avuto buon esito. Il satellite di Giove, obiettivo del viaggio spaziale, si è dimostrato insperabilmente adatto alla vita umana. Dopo 4 anni di silenzio radio, di ritorno con la buona novella, i membri dell’equipaggio finiscono fuori rotta. Mentre lottano contro guasti e tempeste di asteroidi anche Augustine combatte, un pianeta inospitale che non è più casa. Affronta il gelo e le intemperie – munito di mascherina – nella speranza di raggiungere un secondo osservatorio, sempre abbandonato ma con un’antenna per le trasmissioni più potente. Ma nel suo viaggio non è più solo, con lui c’è la misteriosa Iris, bimba sfuggita all’evacuazione e nascostasi tra i laboratori della base scientifica. Due storie che si uniscono nel finale, per una metafora – fin troppo prevedibile – sul futuro dell’umanità.
Settima regia per Clooney che in The Midnight Sky, adattamento cinematografico per Netflix del romanzo La distanza tra le stelle, unisce alcuni dei temi più battuti dal genere: scenari apocalittici, missioni spaziali, nuovi mondi, natività e relazione filiali. La catarsi dell’umanità nella space odyssey sembra trovare sempre più spesso una giusta sintesi proprio nel travagliato rapporto genitore figlio, da Ad Astra a High Life solo per citare alcuni dei titoli più recenti.
Per il dottor Lofthouse, come per gli altri personaggi, tanti silenzi e solo poche battute, confuse nei flashback e poco incisive nel presente. Menzione speciale alla fotografia, come spesso accade quando si parla di spazio e distanze siderali, i paesaggi mozzafiato sono ormai parte del genere.
Un passato poco chiaro, un futuro ancor più incerto, un pianeta giunto al capolinea e un’esistenza da ricostruire. Nel tentare di sovvertire i canoni dello sci-fi dirottando la storia su di una dimensione più terreste, con il protagonista che arranca tra i ghiacci del nord nell’aria di un’atmosfera intossicata, il film di Clooney sembra più un collage di idee incompiute e buoni propositi, ritagli pescati dalle storie degli ultimi anni. Ad arrivare forte e chiaro è invece l’intento pedagogico e moralizzatore su temi caldi quali la crisi clima e le disuguaglianze razziali.