Pinuccia, Lia, Katia, Maria e Antonella sono le sorelle Macaluso e vivono, senza i genitori, in un appartamento all’ultimo piano di una palazzina nella periferia di Palermo. La loro è una esistenza precaria, allevano colombi nella soffitta per racimolare una piccola entrata mensile. Pur essendo molto legate, la morte improvvisa e prematura della più piccola del gruppo stravolge per sempre i delicati equilibri. Convivenza forzata e condivisione degli spazi cementano la relazione tra le sorelle e ne determinano le personalità, mentre la casa con il passare del tempo conserva i segni di un vissuto fatto dei ricordi di ognuna.

Presentato alla Mostra del cinema di Venezia dall’autrice e regista Emma Dante, Le sorelle Macaluso è l’adattamento cinematografico dall’omonima pièce teatrale. Messa in scena per la prima volta nel 2014, è la storia di cinque donne tra i nove e diciotto anni che formano una famiglia in cui c’è chi se ne va, chi resta e chi resiste. La regista affronta emarginazione e affetti spezzati con un linguaggio di forte tensione emotiva prediligendo punti di vista anticonvenzionali.

L’infanzia, l’età adulta e la vecchiaia di cinque anime legate indissolubilmente ad una casa che invecchia, progressivamente, come chi ci vi è cresciuto e chi ancora vi abita. Un luogo pieno di oggetti che perdurano, appartenuti ai morti e sopravvissuti ai vivi. Resistono come le sorelle Macaluso che da anni fanno sempre gli stessi gesti, come un congegno ben rodato. Usano gli stessi oggetti sempre nello stesso modo e ci accorgiamo che il tempo è passato dalla loro inevitabile usura. Cocci del servizio buono maldestramente rotto e rincollato, il solco sul pavimento scavato dall’incedere nervoso di Pinuccia, gli aloni dei quadri, la sbeccatura nella vasca, la maniglia che sistematicamente resta in mano a Katia quando apre o chiude la porta finestra, senza che nessuno si sia mai preoccupato di ripararla. Il peggioramento degli ambienti domestici segue il logoramento dei rapporti familiari.

La narrazione, suddivisa in tre capitoli, rispecchia le fasi della vita delle protagoniste che cambiano talvolta di interprete, come se l’arrivo della senilità comporti inevitabilmente una discontinuità nel corpo e nelle espressioni. Giovani e adulti sono persone diverse, mutevoli e soggette al tempo. Nel primo atto la piccola Antonella muore in un tragico incidente, una ferita aperta per sempre come il buco nel muro fatto da Lia. Una presenza incessante nelle esistenze delle sorelle, e nella casa. Luogo in cui si fatica a metabolizzare la morte, non riuscendo a trovarle una giusta collocazione tra quegli accumuli di oggetti consunti.

Il film di Emma Dante è un film sul tempo, la memoria e ciò che resta, anche dopo la morte. La vecchiaia è un traguardo tagliato sotto gli occhi della casa, vero e proprio convitato di pietra di questa storia. Il suo “sguardo” è qualcosa che la regista rende tangibile, lo percepiamo anche quando questa si svuota dai suoi abitanti. Massima espressione di questa scelta stilistica si osserva nel finale, la macchina da presa consegna allo spettatore le immagini di una casa scarnificata dopo l’addio delle sorelle, scorticata dal prelevare gli oggetti che la abitavano. Dopo settant’anni la morte entra in quell’ultimo piano fatiscente alla periferia di Palermo. La forza vitale della memoria che aveva tenuto in vita l’essenza delle sorelle come un unico organismo che sopravvive alla morte fisica di alcuni componenti, è venuta meno con la dipartita della sua ultima custode. Il denudarsi di questo organismo dai ricordi ne determina la morte.