Il sistema dell’arte: ne abbiamo parlato il 24 dicembre alle 20h30 nell’episodio di Unicum, storie da collezione con due ospiti straordinari. Siamo andati prima a Napoli da Sveva D’Antonio che ha raccontato Collezione Taurisano impegnata principalmente nel supporto di artisti emergenti e poi a Milano dal grande artista Emilio Isgrò, uno dei nomi più noti e apprezzati a livello internazionale dell’arte italiana del secondo Novecento.
Collezione Taurisano
I napoletani conoscono bene l’arte contemporanea. E’ a Napoli infatti che sono nate alcune delle più riconosciute gallerie d’arte italiane, Lia Rumma e Alfonso Artiaco. Da ultimo, è nata una straordinaria realtà museale: il Madre, un museo giovane e legato alla società. Nella realtà partenopea, nasce anche Collezione Taurisano. Siamo negli anni 70, in un contesto in cui il sistema dell’arte era diverso ma anche allora c’era un forte interesse per la contemporaneità. Dieci anni fa un passaggio di testimone da Paolo Taurisano al figlio Francesco. A quest’ultimo venne naturale, collezionare artisti degli anni 80 e 90 che parlassero del qui ed ora. Sua moglie, Sveva D’Antonio ci ha raccontato che questa generazione è a loro cara perché utilizza ogni tipo di medium. Inoltre, ammesso che il piacere estetico sia fondamentale, collezionare per loro significa essere concentrati su un messaggio.
Il ruolo del collezionista
«Il ruolo del collezionista contemporaneo oggi va impersonato con grande responsabilità: in assenza del supporto delle istituzioni è una figura chiave. Interessato al processo creativo, il supporto consiste ad esempio nel fornire all’artista i mezzi per creare. Dall’altro lato, gli artisti che iniziano devono essere convinti della loro cifra stilistica, nonostante le critiche. L’autenticità infatti a lungo andare premia». Ne è convinta Sveva D’Antonio, secondo la quale l’artista deve darsi il tempo di aspettare per maturare e poi affrontare le dinamiche complesse del sistema, sapendo difendere le sue opere.
Emilio Isgrò, la carezza della cancellatura
Emilio Isgrò, è l’artista italiano di fama internazionale noto per il linguaggio artistico della cancellatura. La «genesi di questo linguaggio – spiega – nasce da una riflessione sul destino della parola nella realtà mediatica. Distruggere significa restituire una nuova forza alla parola, logorata dall’uso e dall’abuso».
L’indebolimento dell’immagine
Da qui, il Maestro ci conduce a una interessante riflessione sull’immagine: «noi non vediamo più le cose ma semplicemente le riconosciamo. Il sistema dell’arte è pervaso dall’indebolimento dell’immagine. Tra il discorso comune e quello dell’arte ci deve essere sempre un minimo di disparità: l’arte deve essere ambigua e non immediatamente leggibile».
«Viviamo in un mondo in cui si scambia l’arte per la realtà e questo è pericoloso. Oggi i veri artisti sono i finanzieri che non si preoccupano di dispiacere con le loro operazioni mentre gli artisti vogliono sempre piacere per vendere. Ma un conto è piacere e un altro conto è compiacere: si compiace troppo il pubblico che non fa nessuna fatica e se non si fa fatica non si fa nessun progresso. Questo vale per ogni ambito: dall’arte, alla cultura, alla politica».
«Dal sistema cancellerei l’avidità di certi artisti, critici, mercanti. L’avidità economica non giova e abbiamo diviso il mondo tra vincenti e perdenti. L’arte si è troppo professionalizzata e si dovrebbe guardare ancora al Rinascimento, in particolare all’esempio del grande Leonardo da Vinci: egli faceva tante cose e solo se conosci tante cose un artista può essere un grande artista». Parole forti quelle del Maestro Isgrò che ci portano a riflettere sulle dinamiche del sistema dell’arte.