Il Prof. Pietro Ichino, giuslavorista, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus.
Sullo smart working
“Lo smart working, cioè la possibilità di lavorare da remoto, da qualsiasi luogo, collegati a distanza con l’organizzazione aziendale è una cosa stupenda che ha delle potenzialità enormi, ha vantaggi sia per le singole persone sia per la società circostante. Però ha requisiti imprescindibili, innanzitutto la possibilità di collegamento con gestionale e banche dati aziendali, la disponibilità di un collegamento rapido ed efficiente sul piano telematico. Inoltre occorre che la prestazione di lavoro si presti ad essere svolta a distanza, è evidente che un cameriere o un infermiere non può svolgere la sua professione a distanza. Infine anche il requisito della disponibilità di un luogo adatto allo smart working, che abbia quel minimo di necessario isolamento dalla vita familiare. Fare lo smart working in cucina con i bimbi che razzolano intorno e la pentola sul fuoco è un problema che poi si ritorce sulla persona interessata che non può lavorare bene. Mi sembra che nel settore privato di questo si tenga conto, mentre nel settore pubblico si fa come se fosse ovvio che una prestazione può essere smartabile, come dice la ministra Dadone, prescindendo dalle cose che abbiamo elencato prima. L’amministrazione pubblica è molto indietro, non sono responsabilizzati per gli obiettivi i dirigenti, figuriamoci i dipendenti”.
Sul lavoro in Italia
“Dobbiamo prepararci incominciando ad esercitare le politiche del lavoro che in Italia sono ancora molto vicine all’anno zero. In questa crisi drammatica stiamo spendendo decine di miliardi per le politiche passive, cioè il puro e semplice sostegno del reddito per chi ha perso il lavoro, e non spendiamo una lira per le politiche attive. La drammaticità di questo difetto strutturale del nostro mercato del lavoro è tutto in un dato: almeno 1 milione di posti di lavoro in Italia restano scoperte per la mancanza di persone che siano in grado di ricoprirle. Questo è un enorme giacimento occupazionale che noi sprechiamo per difetti di programmazione necessari. In Italia ancora non abbiamo le tipiche forme di servizio all’orientamento al lavoro che operano nei grandi Paesi del centro-nord. L’immagine del mercato del lavoro che non c’è è falsa, il problema è che lo Stato è paralizzato su questo piano. L’Anpal da un anno e mezzo è totalmente bloccata, per un presidente scelto nel Mississippi che fa su e giù dal Mississippi a spese nostre. I navigator non sono messi in condizioni di lavorare, di attività di collocamento non se ne parla neppure. E’ una situazione di paralisi, di mancanza di investimenti, di mancanza di consapevolezza del problema veramente molto grave e drammatica. Mi stupisce anche che i sindacati non aprano bocca, non spendano una parola per denunciare questa situazione che danneggia innanzitutto i lavoratori”.
Sul blocco dei licenziamenti
“E’ una grossa sciocchezza. E’ come nascondere la testa sotto la sabbia, fare come se il problema non ci fosse, vietando un licenziamento, quando la vera misura da adottare sarebbe potenziare il trattamento di disoccupazione per le persone che perdono il posto. Con il blocco dei licenziamenti la persona che è di troppo viene messa in cassa integrazione ed è lasciata lì a marcire, nessuno si occupa di trovargli il posto e il tempo persa non glielo ridà nessuno”.