Sebastiano Capurso, vicepresidente nazionale di Anaste (Associazione Nazionale Strutture Terza Età), è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus.

Sulla situazione nelle rsa

“Nella prima fase della pandemia, si sono creati molti focolai nelle rsa perché queste strutture si trovano nelle condizioni di concentrare i fattori di rischio per l’evoluzione di una malattia infettiva tradizionale –ha affermato Capurso-. Tante persone condividono gli stessi spazi e si tratta di persone anziane portatrici di diverse patologie, quindi ci sono le due condizioni di maggiore rischio per l’evoluzione di una malattia infettiva. La cosa che stupisce è che non si stia facendo tutto ciò che è necessario fare per evitare che questo accada di nuovo. Man mano che la pandemia si sviluppava alcune cose si sono fatte, si sono evitati alcuni errori gravi fatti all’inizio, tipo quello di trasferire pazienti infetti nelle rsa come si è verificato in Lombardia. Questo già ha portato una modifica all’andamento dell’epidemia nelle rsa. Si sono messe a regime il rifornimento e l’utilizzo delle mascherine. Si è messa a regime la verifica dei materiali che entrano all’interno. Quindi una serie di cose sono state fatte. Ora il governo e le regioni stanno facendo provvedimenti per locali, bar, scuole, rileviamo però che manca un provvedimento specifico per le rsa, che poi sono il fulcro della difesa visto che lì ci sono i soggetti che più rischiano di morire a causa del covid. Ci aspettavamo degli interventi strutturati e precisi per le rsa, che invece non ci sono. Per quanto riguarda il personale, si è visto che distanziamento e mascherine hanno un effetto limitato. Se la pandemia si diffonde sul territorio è inevitabile che il virus entri anche all’interno delle rsa. La soluzione parziale potrebbe essere di fare tamponi periodici al personale, individuando subito eventuali portatori del virus. Questo va strutturato in un progetto complessivo, che individui anche delle riserve che sostituiscono gli operatori che vanno in quarantena. Negli anziani la consapevolezza del rischio c’è abbastanza, molti di loro dicono espressamente ai familiari di non venire a trovarli in presenza, utilizzando le videochiamate per rimanere in contatto. Nei familiari la consapevolezza di questo rischio c’è un po’ meno, ci troviamo ancora a discutere sulle visite, sull’uso delle mascherine. Se si riescono a curare le persone nelle rsa, si ha anche un vantaggio dal punto di vista del carico ospedaliero”.