Fabrice Luchini e Patrick Bruel sono due amici d’infanzia con opposti destini, l’intellettuale pedante e ansioso, il figlio di papà scapestrato e spendaccione. Conosciutisi in collegio – per la precisione in occasione di una punizione – sono come la cicala e la formica, l’una ammira segretamente l’altra per il suo incomprensibile rapporto con la vita.
All’inizio della storia, Arthur (Fabrice Luchini), ricercatore di fama, viene a sapere che al suo amico César (Patrick Bruel), uomo d’affari squattrinato, restano solo pochi mesi di vita, divenendo depositario di questa terribile verità.
Come può César, che incarna la vita, l’energia, l’infanzia immutabile, la seduzione e la forza, essere destinato a scomparire? Pietrificato dall’angoscia, Arthur deve informare l’amico, ma il giorno convenuto commette l’irreparabile e lascia che Cesar equivochi: è Arthur ad avere i giorni contati. E in un secondo, è già troppo tardi. Prigioniero di un malinteso che si trasforma in menzogna, Arthur tenta disperatamente di guadagnare tempo e di allontanare la verità. D’altro canto César persuaso che l’amico stia per morire, decide di fargli vivere al meglio i giorni che lo separano dal tragico destino. I ricordi del passato e le rocambolesche avventure del presente si fondono nel ritratto di un’amicizia senza confini.
Lo schema è noto, due amici a cui resta poco tempo da vivere decidono di buttar giù una lista di desideri da esaudire insieme. All’interno di un plot già visto, gli autori dietro al grande successo di Cena tra amici – che in Italia conosciamo come Il nome del figlio, rifacimento della pellicola francese – inseriscono alcune geniali intuizioni, quali il ribaltamento dei ruoli, l’equivoco e la natura diametralmente opposta dei due protagonisti.
Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte parlano di Cena tra amici, il film che ha lanciato le loro carriere, come di una congiuntura tra cinema e vita, la loro. La diretta testimonianza di problematiche e scelte che come tutti hanno affrontato in una certa fase della vita. Stessa cosa accade con Il meglio deve ancora venire: fu proprio la prima stesura di una sceneggiatura e il soggetto abbozzato del film a spingere uno dei due registi a recarsi ad un controllo dermatologico per scoprire che se avesse aspettato altri tre mesi, si sarebbe trovato nella medesima situazione di César. Sarà forse questa attinenza al reale, alla vita, a donare ai film quella sensibilità e brillantezza inconfondibilmente francese, che la commedia italiana ha da tempo smarrito.
E come far ridere parlando di un tema scomodo e spiacevole qual è il trapasso e la malattia. Attraverso la già citata capacità narrativa di un certo cinema francese, il solo che può destreggiarsi con soggetti di questo tipo senza rischiare di cadere in fallo. È la nuova commedia, inaugurata dal grande successo di film come Quasi Amici, che affonda le radici in una tradizione teatrale ancora molto viva. Ecco che, sotto la giusta lente, a divertire sono proprio quegli aspetti dell’esistenza che più spaventano.
Luchini e Bruel, che insieme ai due registi danno vita a un quartetto d’eccezione che speriamo di rivedere presto nelle sale, generano due energie contrarie ma sincrone. Interpreti inappuntabili di una storia d’amicizia, amore e morte, sempre in equilibrio tra emozione, divertimento e pura celebrazione della vita.