La Prof.ssa Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, è intervenuta ai microfoni della trasmissione “L’imprenditore e gli altri” condotta dal fondatore dell’UniCusano Stefano Bandecchi su Cusano Italia Tv (ch. 264 dtt).
Sulla situazione covid in Italia. “In questo momento noi abbiamo un lieve incremento del numero di persone che hanno contratto l’infezione –ha affermato Gismondo-. Questo è dovuto anche al fatto che stiamo facendo migliaia e migliaia di tamponi, quindi troviamo quello che cerchiamo. Prima invece facevamo i tamponi solo alle persone con sintomi, oggi tamponiamo tutti e troviamo quindi tantissimi positivi. I tantissimi positivi non ci devono preoccupare perché ci danno la fotografia di una popolazione che sta vivendo questo viaggio del virus che comunque è rimasto tra di noi. Quello che dobbiamo guardare con attenzione è il numero di ricoverati, che ha avuto un lieve incremento dall’estate, e soprattutto il numero di decessi che non è assolutamente paragonabile con quello di marzo-aprile, perché siamo diventati più bravi, perché conosciamo meglio il virus e perché forse questo virus sta mutando anche se ancora non abbiamo delle evidenze scientifiche così concrete”.
Sui dati. “Ci sono degli errori nella comunicazione dei dati. Bisogna fare delle differenziazioni. Non si può dire che oggi i casi di covid sono mille e rotti. Noi dobbiamo dire che i soggetti, non i pazienti, che sono infettati da Sars Cov 2 sono X numero e i malati sono X numero. Poi bisogna fare un’ulteriore differenziazione tra le persone decedute perché avevano tantissime gravi patologie e che sono state trovate anche positive al covid e quelle che sono morte esclusivamente a causa del covid. In parole povere, il virus si chiama Sars cov 2, ma il virus nel 90-95% dei casi non dà la patologia che è il covid. Il sars cov 2 è un virus opportunista, che dà una patologia grave solo se l’ospite è debole ed ha almeno 2 patologie pregresse. Bisogna proteggere soprattutto i deboli, cioè gli anziani e i pazienti cronici. Abbiamo avuto poco più di 35mila morti per covid, ogni anno in Italia abbiamo 50mila morti negli ospedali per infezioni nosocomiali. Non è sminuente il mio discorso, ma guardiamo alla concretezza, perché la paura è un sentimento nobile, il panico è un sentimento che crea disorganizzazione”.
Sul post covid. “Il covid, come qualsiasi tragedia della nostra vita, può essere anche un’opportunità di cambiamento in positivo. Ha messo in rilievo una serie di limiti soprattutto nell’organizzazione sanitaria, ha messo in rilievo come la sanità sia stata depauperata e ridotta ad una necessità imminente, non c’è stata una programmazione e una preparazione flessibile per ogni possibile evenienza. Noi vorremmo una sanità pronta a rispondere alle emergenze. I Paesi in Europa che avevano meno unità intensive sono quelli che hanno avuto un numero maggiore di morti. Questa è stata soprattutto una crisi sanitaria, oltre che un problema di pandemia. Quindi io vorrei che questa fosse un’opportunità per ripensare una sanità organizzata diversamente, ma anche ad una globalità pensata diversamente. In un mondo dove abbiamo ancora i mercati umidi, dove forse si è generato questo virus, non si possono avere in alcune zone dei principi igienici assenti e in altre zone dei principi igienici evoluti, dobbiamo condividere nella globalità diritti, doveri, ma anche cultura”.
Sul vaccino anti-influenzale. “Ogni anno ho sempre consigliato di vaccinare soprattutto gli anziani, i malati, le persone deboli. Quest’anno la vaccinazione è consigliata soprattutto per un problema di ordine sanitario, perché i sintomi dell’influenza sono sovrapponibili al covid. Non potremmo reggere milioni di persone che corrono al pronto soccorso o che chiedono i tamponi”.
Sulla possibilità di un nuovo lockdown. “Non credo che ci sia questa possibilità. Credo ci sia resi conto che un lockdown come quello di marzo-aprile è impossibile da ripetere. Noi stiamo rischiando non di morire di covid, ma di morire di fame”.