Un road movie nell’ovest americano con una strepitosa Frances McDormand, intensa e pragmatica senza tetto che aderisce ad uno stile di vita nomade e conquista Venezia e la giuria di questa insolita edizione presieduta da Cate Blanchett. Leone d’oro, Nomadland è sulla strada giusta, gli Oscar sono dietro l’angolo ed è questa una storia che potrebbe lasciare il segno proprio ora che l’Academy ha messo in chiaro alcuni standard di inclusione da rispettare per i candidati alla statuetta.
La storia di un’America dimenticata dal welfare e dal sistema sanitario, quella dei nomadi (per necessità o per scelta) che vivono in pochi pochi metri quadri su ruote. Una comunità insospettabile, forte, coesa e solidale ben rappresentata dalla Fern di McDormand, 61 anni, vedova, sfrattata da Empire, cittadina industriale del Nevada cancellata dalla grande recessione. Troppo giovane per la pensione, troppo anziana per reinventarsi in un paese in piena crisi si ritrova senza un tetto sulla testa ad eccezione di quello del piccolo Van dove ha stipato tutti i suoi averi. Sta per abbracciare un nuovo stile di vita, allergica ad ogni legame permanente, capisce che è la strada la sua vera dimensione. Abbandonata qualsiasi forma di stanzialità ritrova la sua indipendenza viaggiando qua e là tra i grandi spazi dell’America rurale.
Ma il freddo, i soldi che mancano, il difficile lavoro stagionale sono problematiche che deve affrontare, e con lei anche tutti i membri di quella che si rivela una vera e propria comunità.
Basato sull’omonimo libro d’inchiesta, Nomadland ospita le magnifiche performance di Frances McDormand e David Strathairn, attori che si calano in una storia (vera) che non è la loro. Ma molti di quei volti e quelle storie che attraversano lo schermo, invece, sono reali. L’ibridazione del cast operata da Chloé Zhao tra attori professionisti e veri nomadi è molto forte. Linda May, Swankie, Wells – alla guida dell’intera comunità – sono persone in viaggio, alla ricerca di una felicità incompatibile con lo stile di vita tradizionale proposto dalla società. Fern, con il suo background di finzione, non fa altro che inserirsi in un mondo reale.
McDormand, per rendere ancora più intenso il suo coinvolgimento, presta realmente servizio in un centro di logistica Amazon e partecipa alla raccolta delle barbabietole, dona alla storia anche set di piatti, stoviglie, oggetti personali pronti a diventare oggetti di scena.
Per realizzare Nomadland la regista di origini cinesi, si sposta nell’arco di sei mesi dal South Dakota al Nebraska, con una troupe di poche decine di persone per potersi inserirsi all’interno della comunità nomade senza stravolgerla, bensì per studiarne l’identità.
Nello stile di vita itinerante di migliaia di persone si nasconde l’antico individualismo americano mescolato ad una critica serrata al capitalismo. Ciò che ne deriva è un’ampia riflessione per immagini sui grandi temi del nostro tempo, lavoro, etica, sostenibilità.