di Fabio Camillacci/ Il 14 settembre nella storia della Chiesa segna l’apertura del terzo (1964) e del quarto (1965) ciclo del Concilio Vaticano II. Il Concilio ecumenico fu convocato da Papa Giovanni XXIII il 25 dicembre del 1961 con la costituzione “Humanae salutis”. Si svolse dall’autunno del 1962 all’inverno del 1965 e si articolò in quattro sessioni. Il Concilio Vaticano II generò ampie aspettative sul terreno della dottrina e del dialogo religioso. Il suo principale elemento di novità fu un rinnovato rapporto con le Chiese cristiane, le quali inviarono i propri osservatori a Roma e divennero oggetto specifico del decreto “Unitatis redintegratio”, emanato il 21 novembre del 1964. In precedenza Pio IX aveva invitato ortodossi, anglicani e protestanti al Concilio Vaticano I, ma l’invito era stato rifiutato.
L’apertura verso le confessioni non cristiane ispirò la dichiarazione “Nostra aetate” del 2 ottobre del 1965. Il Concilio Vaticano II intervenne anche sulle questioni relative al governo della Chiesa. Furono potenziate le prerogative dell’episcopato, sia con il decreto “Christus Dominus” (28 ottobre 1965), sia con il motu proprio di Paolo VI “Apostolica sollecitudine” (15 settembre 1965). Il Concilio inoltre valorizzò la funzione del laicato nella vita della Chiesa e laici parteciparono ai lavori in veste di uditori. Il Concilio venne anche democratizzato, distinguendo meglio i poteri in seno all’assemblea. Furono nettamente distinti: la funzione presidenziale, affidata dal pontefice a quattro cardinali moderatori, e i compiti di vigilanza sul rispetto delle norme, assolti da un consiglio di presidenza composto da dodici cardinali. Fu poi valorizzato il ruolo delle commissioni.
Gli eventi di maggiore impatto sul piano simbolico. Su tutti spiccano: l’abbandono del latino liturgico, con la costituzione “Sacrosanctum Concilium”, che introdusse le lingue locali nella liturgia; la dichiarazione delle due libertà della Chiesa a svolgere la sua missione e di ogni uomo a professare le proprie personali convinzioni religiose. Vennero emanate quattro costituzioni, tra cui quella sulla “sacra liturgia” e quella sulla “divina rivelazione”. Il tema centrale del Concilio, espresso da Papa Giovanni già nella bolla d’indizione, fu però formulato nella costituzione dogmatica “Lumen gentium”, che aveva come oggetto “il mistero della Chiesa”, secondo cui “la Chiesa è in Cristo come un sacramento, cioè un segno e uno strumento, dell’intima unione dell’uomo con Dio, e dell’unità di tutto il genere umano”.
Dalla rinnovata coscienza della Chiesa derivò l’affermazione che nella missione della Chiesa fosse essenziale servire non solo i battezzati, ma tutta l’umanità. Tutto questo in pratica rimandava al confronto con i credenti di altre religioni, con i laici e con il mondo contemporaneo in generale. E questo è il tema della costituzione pastorale “Gaudium et spes” che, dopo un lungo e faticoso itinerario, venne approvata il 7 dicembre 1965, ovvero il giorno precedente la chiusura del Concilio stesso. La Chiesa, veniva affermato in questo documento, deve dare una risposta concreta ai grandi problemi del presente: l’esplosione demografica, le ingiustizie sociali tra classi e popoli, il pericolo della guerra e della catastrofe nucleare.
Altri punti salienti. Veniva aggiunto che il progresso non va lasciato in balia degli automatismi dell’economia, ma va tenuto fisso lo sguardo sulla dignità, sui diritti, sulle esigenze della persona circa la difesa della pace, anziché partire dalla concezione tradizionale della “guerra giusta”, il Concilio preferì la prospettiva della “costruzione della pace”. In conclusione, il Concilio ebbe effetti molto rilevanti sul piano religioso, culturale e politico, ponendo le basi per la crescita di nuove sensibilità nel campo cattolico, maggiormente impegnate sul terreno politico e più critiche verso gli assetti del mondo.