di Fabio Camillacci/ In questo 2020 ricorrono i 105 anni dell’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale: 24 maggio 1915. Nello specifico, in questo 25 agosto ricorrono i 105 anni della “Battaglia del Col Basson”, ovvero la prima battaglia della Grande Guerra in cui il nostro esercito perse più di 1000 uomini. Allo scoppio del conflitto, sul fronte italiano, in particolare sull’Altopiano di Vezzena, era presente una linea difensiva austriaca formata da opere corazzate: il forte Luserna, il Verle e il pizzo di Levico. Tra il 24 e il 25 agosto, dopo un intenso bombardamento durato 10 giorni da parte delle artiglierie italiane, si scatenò l’attacco delle fanterie sul Col Basson. Questa posizione avanzata collocata tra il Verle e il Luserna era difesa da tre linee di reticolati e con truppe appartenenti alla 180° Brigata fanteria austro-ungarica, tra cui varie formazioni di Standschützen e il Battaglione volontari dell’Alta Austria.
Lo scontro. L’attacco italiano, condotto dal 115º reggimento della brigata Treviso comandato dal tenente colonnello Luigi Federico Marchetti che perì nell’azione, fallì completamente per la mancanza di mezzi adeguati per superare i reticolati, perché le postazioni austro-ungariche, anche se duramente provate dai bombardamenti dei giorni precedenti, erano ancora efficienti ed indirizzarono il loro micidiale fuoco sui fanti impigliati nei reticolati. Alle 6.00 del mattino del 25 agosto, gli italiani erano penetrati, se pur con gravi perdite, nella parte antistante dell’avamposto Basson, ma un contrattacco austriaco, guidato dal colonnello Otto Ellison von Nidlef, permise agli austriaci di riprendere le posizioni perdute. Per tale azione Ellison fu decorato con la Croce di cavaliere dell’ordine militare di Maria Teresa. Le truppe italiane rimanenti, vista l’impossibilità di ripiegare sulle posizioni iniziali di Monte Costesin a causa del fuoco di sbarramento dei forti Verle e Luserna, che li avrebbe falciati, si arresero in gran numero.
Le conseguenze della “Battaglia del Col Basson”. L’esito infelice di questa offensiva, che si svolse nell’ambito di una ben più ampia operazione che coinvolse il settore dell’intero V Corpo d’Armata, evidenziò l’impossibilità di forzare la cosiddetta “Linea di Lavarone”. La 1° Armata, schierata sul fronte trentino, aveva ricevuto l’ordine dal generale Cadorna di rimanere sulla difensiva strategica e ogni puntata offensiva avrebbe avuto come unico scopo: il miglioramento delle posizioni laddove si fosse offerta un’occasione vantaggiosa. Questa offensiva di livello tattico, ma che comunque impegnò una fronte molto largo (tutta la zona degli Altipiani e la Valsugana), non ottenne alcun risultato territoriale e costò perdite enormi in termini di uomini oltre che un dispendio cospicuo di colpi d’artiglieria. Non a caso dopo questa battaglia non vennero più effettuati tentativi di scardinare la linea dei forti austroungarici.