Chiusa una stagione eccone un’altra già alle porte. Non c’è tempo per fermarsi, men che meno per la delusione da smaltire lentamente. Archiviato l’ultimo atto dell’annata 20-21, i club sono già al lavoro per preparare la prossima stagione. Messe in cantina turné transoceaniche, più utili al marketing che alla costruzione di una squadra, torna in auge il ritiro in amene località di montagna. Si riducono i costi, e con loro anche i rischi di nuovi contagi.
Se non che, c’è la coda lunga dell’estate con cui ancora fare i conti. Ferie domestiche quasi per tutti, eppure voglia di allentare la presa, di riassaporare la vita com’era, dopo quasi tre mesi di reclusione in bolle super blindate da cui evadere solo per il tempo di una partita. Ma ora che la serie A torna a fare la conta prima del via, ecco che il Covid presenta il conto di tanta leggerezza: nuovi contagi, quarantene forzate per molti tesserati e – lontana, ma neanche tanto – l’ombra lunga di un rinvio a funestare il tutto.
In Francia è già accaduto. Eppure, chiudendo tutto per primi, tempo per acquisire dati e esperienza altrui non era mancato. Qui da noi il fischio finale della serie A è coinciso con un “rompete le righe” figlio del tempo di prima, dell’estate che fu, quando era lecito staccare la spina e concedersi qualche strappo in più. Col risultato che oggi, a tre settimane dal via, la matassa si è nuovamente ingarbugliata, proprio nel momento in cui lo stato d’emergenza si annunciava status quo per chissà quanto tempo ancora.
Un allarme lanciato in tempi non sospetti dal presidente federale Gabriele Gravina, bravo nell’emergenza a trovare la quadra del cerchio, e altrettanto lucido nel preconizzare i rischi che un’altra stagione vissuta pericolosamente avrebbe portato con sé. Allarme caduto allora nel vuoto e non raccolto dai presidenti intenti a rivendicare diritti economici di corto respiro e alimentati da vaghe proposte il sui seguito ancora si attende.
E se oggi l’incertezza per il domani è tanta, ancor più grande è l’amarezza nel constatare come ancora una volta si sia preferito guardare all’immediato, in un mondo già dimentico delle condizioni economiche in cui si era fatto trovare dall’arrivo del Covid, e cieco nel non riuscire a cambiare rotta e visione d’insieme. Errare è umano, perseverare diabolico. Difficile pensare di poter cambiare qualcosa continuando a reiterare i comportamenti e gli errori di sempre.
Ronald Giammò