Bambini prodigio: è vero che chi può fare molto e riesce a dare poco rischia l’infelicità. Le storie dei piccoli talenti si somigliano: la difficoltà di farsi comprendere si avvicenda a momenti di successo, a cui segue l’amarezza di non riuscire a trovare un buon equilibrio nel rapporto con gli altri.
Capacità superiori alla media
Avere talento può comportare difficoltà relazionali sociali. “Questi bambini vengono visti come bizzarri, strani, dai coetanei e dagli adulti – ha osservato Caterina D’Ardia, a Tutto in Famiglia, su Radio Cusano Campus – la storia di William Sidis non la conoscevo, ne avevo una conoscenza parallela, che non coincideva con quella reale. Era un bambino con delle capacità superiori alla media. Nel leggere il libro mi sono accorta di quanto sia importante stimolare i più piccoli nelle diverse competenze.”
La genetica e le stimolazioni esterne
La vita perfetta di William Sidis è il titolo del libro letto e proposto dalla neuropsichiatra dell’Università Niccolò Cusano. “L’autore fa passare il messaggio di un bambino estremamente abile e intelligente, ma anche di una persona stimolata, dagli altri, precocemente – ha sottolineato la professoressa D’Ardia – in personalità di questo tipo c’è un doppio aspetto: uno innato e uno genetico.”
Bambini prodigio: l’aspetto che provoca maggiore sofferenza, e che bisogna gestire meglio è l’introduzione in società, il rapporto coi coetanei. Eccellere in qualcosa può mettere a disagio la persona di talento in questione, e gli altri. “Il ruolo fondamentale ce lo hanno gli adulti: i genitori e gli insegnanti. Vanno valorizzate determinate capacità, ma bisogna anche trovare il modo che riescano ad avere una crescita serena – si è congedata la neuropsichiatra Caterina D’Ardia – ognuno di noi è bravo in qualcosa. William Sidis leggeva a diciotto mesi il New York Times, cioè in quella fase della vita in cui i bambini a malapena riescono a stare in piedi Sidis sapeva già leggere.”