Sulla stampa quotidiana è apparsa di recente la notizia per cui il governo del Quebec avrebbe trasmesso ai medici un protocollo sulle priorità da osservare nell’impiego dei posti delle terapie intensive.
Il documento, che dovrebbe trovare applicazione in caso di emergenza sanitaria, individua fra le cause di esclusione dalla terapia intensiva «una grave compromissione cognitiva e l’incapacità di svolgere le attività quotidiane e domestiche in modo indipendente a causa di una malattia progressiva».
Facciamo qualche esempio: persone con la sindrome di Down, un grave disturbo autistico, il Parkinson o la Sla, anziché trovare maggior tutela proprio in ragione della loro condizione, verrebbero pretermesse in favore di soggetti fantomaticamente reputati “normali”, sulla base di una valutazione di utilità sociale degli individui.
In realtà il protocollo è dei primi di aprile, ma solo adesso è venuto alla luce grazie all’attività della Société Québécoise de la déficience intellectuelle, che ha formalmente richiesto al primo ministro di modificarlo. E va anche ricordato che, appena ne hanno avuto contezza, alcuni deputati all’Assemblea Nazionale hanno denunciato come questo protocollo violi la dichiarazione universale dei diritti umani, la carta canadese dei diritti e delle libertà nonché la convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità.
Del resto, sempre in vista dell’emergenza dovuta al Coronavirus, anche alcuni Stati degli Stati Uniti d’America hanno adottato analoghi “criteri”.
La lettura di tali canoni operativi mi ha riportato alla memoria le testimonianze che abbiamo visto nel film “Vincitori e vinti” del 1961 di Stanley Kramer. Mi sono tornate alla mente le parole sia del testimone (una vittima) interpretato da Montgomery Clift sia del giudice tedesco imputato, interpretato da Burt Lancaster, specie quando riconosce di aver cessato di essere un giudice quando ha applicato quelle leggi infami contro ebrei, disabili, minoranze.
L’Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18 ha ratificato e resa esecutiva la convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, ma, comunque, è già la forza prescrittiva della Costituzione che non tollera che simili misure vengano adottate.
Sembra incredibile che nelle cosiddette democrazie avanzate accada ancora tutto ciò.
Non si è ancora compreso che la disabilità è uno dei modi di manifestarsi dell’umanità: siamo tutti esseri umani, tutti diversi fra di noi, e ci troviamo ad abitare insieme questo piccolo terzo pianeta.
Inviterei i falsi invalidi e coloro che hanno la pessima abitudine di lasciare l’automobile nei parcheggi riservati alle persone con disabilità a trasferirsi (ora) in Quebec o in alcuni Stati degli Stati Uniti d’America: toccherebbero con mano che cosa significa essere davvero disabili.
Prof. Federico Girelli
Delegato del Rettore per la Disabilità
Università degli Studi “Niccolò Cusano” – Roma