L’avvocato Cesare Placanica, presidente delle Camere Penali di Roma, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus.
Sul caso Palamara
“La storia si ripete, è la nemesi. Chi alza la corda poi finisce inevitabilmente ad usarla da impiccato. L’utilizzo eccessivo delle intercettazioni e dei trojan spesso danno una visione distorta dei fatti. Sistematicamente in tutti i processi la tendenziosa ricostruzione delle intercettazioni è un fatto costante. Spero che questo non tolga dal fuoco il vero problema serio che emerge dalla vicenda: la separazione delle carriere. E’ evidente che il meccanismo di promozione agli uffici giudiziari passa attraverso le determinazioni dei capi corrente, che stabiliscono chi va a presiedere i tribunali. Se la maggior parte dei capi corrente sono pm e rappresentano una procura, l’organo giudicante che deve la progressione di carriera a quei capi corrente potrebbe essere influenzato. E l’imputato ha il diritto di non essere tranquillo. L’esercizio della giurisdizione deve essere al di sopra di ogni sospetto. Bisogna fare due sezioni separate del Csm: da una parte i magistrati, dall’altra l’accusa. Purtroppo c’è resistenza nei confronti della separazione delle carriere perchè c’è un tipico meccanismo conservatore di una posizione di rendita politica.
Sulla condanna a 9 anni di carcere a Rosario Greco, che a bordo di un suv travolse due bambini
“In questi casi parliamo di tragedie assolute -ha affermato Placanica-. E’ ovvio che le sentenze si possono criticare. Prima di criticare la sentenza però bisognerebbe conoscere bene gli atti della sentenza stessa. Non è facile fare nè una critica nè una difesa della sentenza. Fino a qualche anno fa, prima della legge sull’omicidio stradale, questo signor Greco sarebbe stato condannato a 3 anni e 6 mesi di carcere con l’abbreviato e a 5 anni con il massimo della pena. Con l’omicidio stradale il massimo della pena è 18 anni. Si arriva a 9 perchè il nostro sistema prevede il rito abbreviato, che consente al sistema giudiziario italiano di risparmiare moltissimo in termini di energia, di tempo e di impiego di risorse umane. Questo risparmio, dice l’ordinamento giuridico, ti comporta un terzo di pena in meno. Il che significa che 18 anni diventano 12 anni. Il pm ne aveva chiesti 10, il giudice ne ha dati 9. Poi ovviamente c’è il punto di vista dei familiari. E’ chiaro che se fosse successo a mio figlio, io avrei chiesto la pena di morte. Ma noi non siamo in America e abbiamo un altro sistema giudiziario”.