La pallanotista delle campionesse d’Italia in carica è intervenuta nello scorso week-end per parlare della sua scelta professionale, esterna alla vasca

L’umanità, l’intraprendenza, l’umanità e la volontà di dare il proprio contributo. Tutto questo è Giulia Viacava, pallanotista facente parte della squadra nazionale azzurra e dell’Orizzonte Catania che è la società campionessa d’Italia in carica, anche se lei è arrivata dopo la conquista dello scudetto, alla corte di Martina Miceli.
Mi sono permesso di dire che tu sia del 1994, una classe di ferro capace di dare spessore alla reputazione della gioventù rappresentata sia in sede sportiva che professionale…
“Gioventù ormai passata, perché i prossimi saranno 26 anni”, esordisce, con il sorriso, la sportiva ligure
Non stiamo parlando mica con una matusa.
“Una via di mezzo, diciamo”.
Dici che la pallanuoto invecchi prima per il logorio di muscoli e sistema nervoso?
“No, invecchiare no, però mi toglie tante energie, possiamo dire”.
Sei ligure di quale città?
“Di Sori vicino a Recco”.
Il destino è stato rispettoso perché la Pro Recco è considerata l’Olimpia Milano della Pallanuoto o la Juventus, se il paragone è calcistico. Tu sei nazionale e giochi in un grande club: cosa è scattato, a un certo punto, nei tuoi pensieri?
“Dopo qualche settimana ho deciso di poter dare una mano, nel piccolo, essendo laureata in Infermieristica; per lavorare presso una RSA a Quinto”.
Un’altra città rappresentata dalla Serie A maschile, se non ricordo male?
“Sì, esatto. Ma oramai tutta la Liguria ha nelle piccole città come (nel grande centro) una squadra di pallanuoto. Viviamo, di pallanuoto. Siamo nati e cresciuti nella pallanuoto”.
Quanto è bella, come disciplina?
“E’ uno degli sport più faticosi che ci sia perché ti devi allenare tutti i muscoli; non è che ti puoi concentrare solo sulle gambe o solo sulle braccia. Anche il fatto che ci sia questo contatto fisico porta a un dispendio maggiore di energie quindi è molto faticoso”.
Quando hai avuto quel grande gesto di sensibile rispetto verso il tuo coach, Martina Miceli, come gliel’hai posta, la domanda? Perché non ti sei presa un compito semplice: tornare nella tua regione, lavorare in una residenza per anziani, combattere questa bestia che, prima o poi, andrà battuta.
“Essendo che io ho un contratto con loro, mi sembrava giusto rendere partecipe e chiedere se non fosse un problema. Ma nel chiederlo non conoscevo la loro reazione. Ho detto “Boh!, chissà!?”: ma anzi erano contenti e orgogliosi, che andassi a fare ciò che sto facendo”.
Un bell’attestato di stima, da una donna di grande carattere!
“Martina la conosco da solo settembre, perché è il primo anno, che gioco per loro. Ci vorrebbero tante parole, per descriverla”.
Provaci, abbiamo tutto il tempo che vuoi. Giulia sorride e dice: “L’ho sempre vista sul lato solo pallanotistico, la Martina che si arrabbia e urla, durante la partita. Però poi c’è un’altra Martina: una Martina sensibile, con un cuore, che vuole capirti, cerca di capire, sa valorizzarti. Una donna, dalla A alla Z. Mi trovo veramente bene con lei”.
Avete già affrontato una competizione internazionale con successo. Hai evidenziato delle doti umane, perché parliamo della persona, non del tecnico o del tuo presidente.
“Ed è importante, che ci sia questo feeling, questo trovarsi bene anche a livello caratteriale. Sennò è difficile, andare avanti “solo” con Martina allenatrice come con qualsiasi altro allenatore. Con lei si può instaurare un bellissimo rapporto”.
In famiglia cosa ti hanno detto, di questa cosa? TI hanno sconsigliato? Incoraggiato?
“Diciamo che tutti fossero felici e orgogliosi. Un po’ di paura viene, anche vedendo i notiziari? Facendo parte dell’ambiente sanitario, sapevano benissimo a ciò cui sarei andata incontro. Papà era agitatissimo, la mamma no. Hanno sempre paura però hanno capito che utilizzando tutte le precauzioni, non si devono preoccupare. Agli inizi lui era agitato”.
L’RSA dove lavori non è una di queste reclamizzate. Quanta gente contiene?
“All’incirca una sessantina”.
Del reparto infermieri e dottori quanti siete?
“Di solito in turno due infermieri e tre operatori sanitari e uno medico, di giorno. Di notte due infermieri e due operatori sanitari”.
Che tipo di rapporto umano avete, con le persone che risiedono lì?
“Con alcuni è difficile instaurare un rapporto perché sono persone anziane che patiscono l’Alzheimer, la demenza senile quindi fanno anche molta fatica, a capire un discorso compiuto; con altri è come avere un rapporto con il proprio nonno.
Comunque l’età è quella e immedesimi i tuoi nonni in loro. Alla fine è anche bello confrontarti: ti raccontano le loro esperienze, hai sempre cose che aggiungo nel mio bagaglio, come esperienza”.
Quando hai sentito in Lombardia proprio le RSA (residenze sanitarie per anziani) hanno pagato un prezzo elevatissimo, hai avuto qualche pensiero in più? O lo hai scansato d’immediato?
“No, perché comunque anche in Liguria, ci sono stati dei casi. Secondo me il fatto delle RSA è che il problema è stato preso di sottogamba. Di conseguenza sono stati ordinati vari materiali, ma è arrivato tutto troppo tardi. E il virus si era espanso. Per questo, ci sono stati un sacco di decessi. Infatti ci sono molte cliniche che ora andranno controllate”.
Da questo punto di vista, preso il ceffone come nazione, l’Italia può stringere la cinghia rispetto a una superficialità precedente.
“Ma anche nella sanità pubblica, la stessa cosa. Nel privato non lo capisco ma…vabbé. Nel pubblico, prima che arrivassero i materiali è passato tempo. La superficialità c’è stata da tutte le parti”.
Con quale concentrazione e motivazione si riparte nella pratica sportiva?
“Intanto chissà quando la riprenderemo”, dice Giulia Viacava, con grande senso del realismo. “Non vedo l’ora di tornare per rivedere le compagne di squadre, per rivivere le sensazioni precedente le partite, l’ansia, l’adrenalina. Sono sensazioni ed emozioni che le puoi provare solo in piscina. Quindi non vedo l’ora”.
Hai studiato Medicina nel percorso accademico di fianco a quello sportivo, come fanno gli studenti che vogliono arrivare al traguardo. Dal tuo punto di vista come giudichi il fatto che si voglia per fare ricominciare, quasi a tutti i costi, la Serie A di Calcio?
“Il problema dell’Italia è l’economia. Il Calcio è l’unica fonte che può far tornare a girare i soldi perché come sappiamo è lo sport principale: i media, gli sponsor. E’ per questo che lo vogliono far ripartire. Tante persone allo stadio non ci possono andare e senza tifo non è la stessa cosa. Secondo me se veramente riprenderà il campionato, sarà una cosa senza senso, da incoscienti”.
Meno male che c’è chi la pensa come me.
La Viacava spiega a fondo la cosa: “Se una persona risulta positiva, cosa facciamo? Mettiamo tutti in quarantena, giusto? In una squadra di Calcio quante persone ci sono, una settantina? Poi giochi contro altre squadre, poi non finisce mai più! E’ un anno, non è che si parla di 10 anni”.
Giulia è una donna coraggiosa e di carattere. E si pone delle domande: “Se tutto il mondo sta sospendendo il Calcio, e noi cosa siamo, più furbi, a farlo ripartire? Mah!”.
Il problema è che da altre parti hanno dirigenti che hanno giocato a pallone, e conoscono la pratica. Chi ha fatto sport lo sa cosa accade, quando l’arbitro fa l’appello, dentro a uno spogliatoio, con tanta gente presente. Oggi i calciatori di una squadra sono 20 più lo staff tecnico, sanitario, dirigenziale. Sono 30 persone a società, e in Serie A ci sono gli operatori televisivi, gli steward, già quello, senza pubblico arriviamo a 300 persone a gara per 10 gare.
Si vive anche di motivazioni, e quasi istintivamente un calciatore che segna un gol va a cercare un compagno per abbracciarlo….
“Sento che ora metteranno le ammonizioni per chi sputerà per terra!”.
Quella è un’idiozia perché le partite finirebbero per mancanza del numero minimo regolamentare.
“Come li controlli, 22 giocatori in campo, con 1 solo arbitro? Seconda considerazione: lo fanno tutti in automatismo, senza cattiveria. Chi resta in campo, l’arbitro, a fine partita?”.
No, si può giocare fino a 7, in 6 no. Non so a chi vengano, queste idee. Io le prenderei a monte, la cosa: proprio perché c’è l’abitudine, di sputare per terra, e di scaricare la saliva, detto in termini più educati, il rischio è moltiplicato. E la domanda torna quella: perché rischiare? Per i contratti? Per il Calcio?
Vorrei che Giulia Viacava facesse un appello a Paolo Barelli, presidente della FederNuoto e della LEN (la Uefa delle discipline natatorie).
“Ci sarebbero tante cose, da dire. Ora come ora non bisogna mollare le società, soprattutto le piccole realtà, che dopo questi mesi avranno vita difficile, per ripartire. Alla Pallanuoto farebbe bene un po’ di popolarità perché viene trasmessa una partita a settimana, e in streaming che non so quante persone la possano visualizzare. Dunque per far crescere questo mondo ci vogliono tanto impegno, tanta volontà, dedizione nel far pubblicità. Sarà difficile, questo. I risultati non si vedranno subito ma col tempo va fatto un bel lavoro. Più che altro nel salvaguardare le piccole società. La pallanuoto non ha lo stesso giro di soldi del Calcio, della Pallacanestro, della Pallavolo”.