La scuola è stata tra le prime vittime del Coronavirus, il lockdown generale è partito proprio da lì. Il 5 marzo scorso licei, istituiti tecnici e professionali di tutta Italia hanno chiuso i battenti tra enormi dubbi e incertezze riguardo al futuro. 

Mentre la data di un possibile ritorno tra i banchi si allontanava via via sempre più fino ad arrivare a un rinvio definitivo a settembre, la vita dei diretti interessati, studenti e insegnanti, come quella di altri milioni di italiani, subiva profondi sconvolgimenti.

Ma come spesso accade, per capire il presente, occorre guardare al passato. Se c’è un film capace di fornire un ritratto fedele della realtà incredibilmente varia e complessa che è stata la scuola pubblica italiana fino ad oggi, quello è proprio La scuola di Daniele Luchetti. 

Silvio Orlando e Anna Galiena in La scuola del 1995, regia di Daniele Luchetti

Il regista romano nel 1995 ci regalava una vera istantanea del mondo della scuola, a distanza di vent’anni e più ancora terribilmente nitida. Ad oggi infatti il lavoro di Luchetti si riconferma un documento prezioso ed imprescindibile per comprendere quella che è la vita tra le mura scolastiche. Silvio Orlando con il suo professor Vivaldi, docente di Lettere, ci accompagna attraverso una galleria di ritratti senza tempo di insegnanti e alunni, caricaturali e macchiettistici, ma incredibilmente rappresentativi.

Ultimo giorno di scuola per la 4ª classe di un istituto tecnico alla periferia di Roma ed è tempo di scrutini. Chi si salverà? Chi dovrà ripetere l’anno? Ce la farà il professor Vivaldi a domare il corpo insegnanti e mettere tutti d’accordo?

La scuola è un grande affresco di metodologie, comportamenti, approcci didattici e relazionali. La sua cifra grottesca, il tono smaccatamente scanzonato e lo sguardo severamente impietoso scandagliano nel profondo la natura ambigua e contraddittoria di alcune delle tappe obbligate di ogni anno scolastico: la gita, le ultime interrogazioni, lo scrutinio finale. Tre cose che oggi, al tempo del coronavirus, non sono più così scontate, ma che anzi agli studenti digitalizzati appaiono come un lontano miraggio. L’anno scolastico 2019/2020 verrà ricordato non solo come l’anno della pandemia e della didattica a distanza, del salto nel vuoto, ma soprattutto come l’anno della maturità rubata. Alla generazione del 2001 verrà irrimediabilmente negata la gran parte dei rituali canonici caratteristici della fine degli studi superiori. Niente 100 giorni, niente cena di classe, niente ultimo giorno di lezioni e musica in cortine, niente riti scaramantici e nessuna possibilità di condividere l’ansia per l’esame con i compagni di vita di cinque anni. Niente baci e abbracci. Niente viaggio estivo. Niente di niente. Fasi, tappe, attimi della vita perduti, che non torneranno più. Nel loro futuro, storie alla Compagni di scuola di Verdone non troveranno posto sfrattate dal ricordo del virus.

E se il film di Luchetti è un caposaldo del racconto poetico, sentito e appassionato di cosa accade dietro alla cattedra, chi meglio di Verdone ha saputo far rivivere il mito della scuola gelosamente conservato nel cuore di ogni studente. Dopo 15 anni il gruppo classe si riunisce in una villa su invito della bella e facoltosa proprietaria, molte cose sono cambiate ma le abitudini del liceo sembrano ben lontane dall’essere abbandonate. Fabris il belloccio ora è diventato il più brutto della compagnia mentre Finocchiaro, l’arricchito, che invece conserva ancora un’ironia spietata, non riesce a trattenersi dal prendersene gioco; Tony Brando è un cantante fallito con la verve di De Sica, il sordido Valenzani è un politico senza scrupoli, l’empatia di Maria Rita ha trovato concretezza nel mestiere di psicologa, Er Patata di Verdone è diventato professore pur conservando il suo fare da imbranato e così via… Personaggi anche qui macchietistici che si fanno interpreti dei ricordi di una generazione, dall’insofferenza della vita tra i corridoi scolastici all’inevitabile nostalgia del tempo che fu, dal malinconico distacco maturato con l’età all’amarezza della rimpatriata.

Compagni di scuola 1988, regia di Carlo Verdone

Ed è forse proprio la dinamica del gruppo, l’amicizia nata tra i banchi che ne esce irrimediabilmente danneggiata in una situazione di didattica a distanza dove l’attesa dell’insegnante, l’interruzione del bidello, il caos del cambio dell’ora non esistono più, e con loro la complicità senza tempo che nasce tra studenti, impossibile da ricreare virtualmente. I commenti goliardici e le battute tra compagni di banco ora trovano posto solo nelle chat, ridotti a una stringa di testo con qualche emojis. E non si può fare a meno di chiedersi come Tony Brando, Er Patata e Finocchiaro avrebbero ricordato tutto questo.