Cassaintegrati, Partite IVA, piccole e medie imprese, man mano che il tempo passa diventa chiaro a tutti come siano e saranno loro, ad emergenza sanitaria conclusa, i più colpiti sul fronte economico dalla paralisi italiana per l’epidemia di Coronavirus.
In questa cornice sempre più drammatica si torna a parlare di un nuovo 2008, la tragica annata che ha provocato ripercussioni a lungo periodo e che ha ispirato non poco il cinema nostrano. Sono tanti i registi e gli attori che nell’ultimo decennio con le loro storie e interpretazioni di valore, hanno raccontato gli italiani lavoratori, stretti nella morsa di una crisi economica che già allora appariva insormontabile e che ora, al paventarsi di un’ondata ancor più nera, guardano a quel fatidico 2008 quasi con nostalgia e rimpianto.

L’intrepido diretto da Gianni Amelio, 2013

La regia di Gianni Amelio è una di queste. Insieme all’iconico Antonio Albanese con L’intrepido del 2013 ci trasporta nella vita di un uomo buono, non certo perfetto, ma con la straordinaria quanto surreale capacità di saper affrontare ogni difficoltà con un perenne sorriso. “Fortunato chi lavora”, dice Antonio che il lavoro non ce l’ha, “perché almeno può scioperare”. Lui che, come un pugile per tenersi in forma, si alza ogni mattina dal letto in cerca di un rimedio per sciogliere quel peso nel petto: il peso di chi non sa come dare un senso alla giornata. E così si arrabatta tra un lavoretto e l’altro, facendo il rimpiazzo. Sostituisce chi è costretto seppur solo per qualche ora, ad assentarsi dal proprio posto. In questa sorta di precariato itinerante fa il muratore, il badante, il tranviere, l’attacchino di manifesti, l’operaio. Sbanca il lunario come può.
Un film nella sua brevità ricco di simbologie e riferimenti, da Ladri di biciclette a Tempi moderni, toccante nell’esplorare un profondo rapporto padre figlio. Il giovane Ivo, a differenza di Antonio che non sa nemmeno cosa sia la paura, è un musicista che soffre di attacchi di panico. Quando il padre, ormai emigrato in Albania, tornerà per assistere ad un suo concerto, trovandolo nel pieno di una crisi d’ansia saprà aiutarlo con un gesto di grande empatia, facendo ciò che ha sempre fatto: sostituirlo, improvvisandosi suonatore di sax.
Grottesco, sognante e quasi romantico, talvolta prevedibile, ma estremamente emblematico e coerente con la filosofia di vita che Amelio vuole raccontare, quella dell’italiano che non si arrende, che non si dà per vinto. La forza e la bontà d’animo dell’Italia che amiamo.

Dalla tenerezza che suscita un personaggio come quello interpretato da Antonio Albanese ci spostiamo su un versante tragicomico con Gli ultimi saranno ultimi, film del 2015 diretto da Massimiliano Bruno. Il titolo è un chiaro riferimento alla citazione biblica stravolta nel voler mostrare le conseguenze che la crisi e le difficoltà economiche possono determinare, spingendo le persone su strade molto pericolose. Paola Cortellesi e Alessandro Gassmann interpretano una coppia che conduce un’esistenza provinciale semplice e tranquilla. Lei lavora in fabbrica, lui è un meccanico che si rifiuta di lavorare “sotto padrone” e così si improvvisa imprenditore con scarsissimo successo. Le cose si mettono male quando Lucia rimane incinta e anziché gioire per l’arrivo di un figlio tanto atteso, deve fare i conti con il licenziamento che la getta sull’orlo della disperazione. Il suo datore di lavoro non le rinnoverà il contratto privandola dell’unica fonte di reddito familiare. Una volta scoperto che anche il sindacato le ha voltato le spalle la donna, ormai al nono mese, esasperata e senza via d’uscita perde definitivamente la testa e corre in fabbrica. Questa volta è decisa a riprendersi il suo posto di lavoro anche con la forza.
Massimiliano Bruno con l’ausilio di un gran numero di personaggi e interpreti secondari, da Fabrizio Bentivoglio a Stefano Fresi, ricostruisce un’Italia che conosciamo bene, a volte rischiando di scadere nel macchiettismo e nel caricaturale. Il film rimane costantemente in bilico tra la farsa comica e il dramma come per raccontare due facce di una stessa italianità, Gli ultimi saranno ultimi mette in scena timori e preoccupazioni del paese di oggi. E pur chiudendosi con un lieto fine consolatorio e di scarso coraggio, il film di Bruno ha il grande pregio di saper mantenere nella visione d’insieme una carica emotiva molto potente in grado di scuotere nel profondo.

Tutta la vita davanti regia di Paolo Virzì, 2008

Con Tutta la vita davanti di Paolo Virzì facciamo un passo indietro, tornando in quel non lontano 2008, per il film più completo, visionario e lungimirante nel volgere lo sguardo verso un futuro dai contorni surreali quanto tragicamente molto concreti. Un cast importante, Massimo Ghini, Valerio Mastandrea, Sabrina Ferilli, Micaela Ramazzotti, Elio Germano, per un film che spazia con squarci impietosi dalla disoccupazione giovanile al precariato aziendale passando per il sindacato. Marta, interpretata da Isabella Aragonese, è una neolaureata in filosofia, molto colta e taciturna, che tenta disperatamente di inserirsi nel mercato del lavoro. Messa subito alla porta dal mondo accademico e dell’editoria, ripiega sul call center di un’azienda che vende elettrodomestici. Si ritroverà improvvisamente catapultata nel purgatorio dei precari, popolato da giovani telefoniste e venditori invasati che sembrano usciti da un reality show. Le danze motivazionali, i jingle aziendali, le premiazioni, gli applausi e le penitenze alla grande fratello, coordinate da una capo reparto magnetica e affabulatrice impersonata da Sabrina Ferilli, sono all’ordine del giorno. Nel mondo grottesco di Virzi, che per affinità si avvicina pericolosamente al nostro, non c’è salvezza per nessuno, precari, dirigenti e sindacalisti. Il messaggio è desolante, con un finale che invita a rifugiarsi nella filosofia come unico rimedio per non finire fagocitati da una società ai mini termini e irrecuperabile.