Olimpia Milano sul tetto d’Europa dopo 21 anni, in un decennio stupendo, il secondo, per il Basket italiano

 

La Sinudyne Bologna perse di un punto con il Maccabì poi due trionfi di Cantù, quello del BancoRoma. E nel 1987, con Bob McAdoo e uno squadrone forse irripetibile, fu la volta della compagine di Dan Peterson

 

E’ stata una delle imprese più belle degli ultimi 50 anni, sia nella Pallacanestro che nella storia dello sport italiano. Per come è maturata, vedi la clamorosa rimonta nei quarti di finale con l’Aris Salonicco; sia perché mancava, a Milano da 21 anni, il più importante trofeo europeo. Stiamo parlando dell’anniversario, il 33°, del successo in Coppa dei Campioni della Pallacanestro Olimpia abbinata Tracer Philips. E’ successo il 2 aprile del 1987, a Losanna.

L’ultimo atto la squadra di Dan Peterson l’avrebbe giocato con una delle più ostiche avversarie, il Maccabì di Tel Aviv, compagine tosta, gagliarda, dotata fisicamente e sul piano tecnico.

Milano era una sorta di “Envincible Armada”. Perché aveva D’Antoni in cabina di regia e i fratelli Boselli, Dino e Franco, pronti a dare il loro umile apporto, Vittorio Gallinari, uno dei difensori più in gamba del campionato italiano. Roberto Premier, che ha sempre benedetto l’introduzione del tiro da 3 punti. Un certo Robert Allen Mc Adoo per gli amici Bob, leggenda vivente della N.B.A., e il nostro totem, Dino Meneghin, simbolo del basket azzurro in tutto il mondo. Senza dimenticare un giovanissimo Ken Barlow, talento che alla fine si è accasato in Europa senza trovare gloria nella lega di casa sua, in America, come disse, in un momento di grande sfogo, sul pullman, proprio Mc Adoo al più giovane compagno di squadra.

Di quel gruppo facevano parte gregari umili quali Fausto Bargna, i giovani Ambrassa, Pittis e Governa, tra gli altri.

In quel decennio la pallacanestro italiana aveva già registrato la vittoria assoluta in Europa di Cantù, che di certo non rappresentava una metropoli, ma ha avuto gente in gamba sia dietro la scrivania che in panchina quanto in campo. Tanto da vincere per due volte, la più grande manifestazione europea.

E Roma, con Bianchini e una dirigenza capace di incoraggiarne le scelte e di costruire una campana di vetro intorno a quella grande creatura agonistica.

Il quarto sigillo lo ha messo una stupenda Olimpia Milano, che nel 1986-1987 avrebbe centrato tutto: Coppa Campioni, scudetto e Coppa Italia. Cose di 10-15 prima, quando l’asse era composta dalla stessa società e dalla Ignis Varese. La società di provincia aveva addirittura giocato 10 finali (!!!) consecutive di Coppa dei Campioni quando, come nel Calcio, la più importante rassegna continentale la disputavano una squadra per nazione più una seconda nell’unico caso della detentrice e cioè del collettivo che aveva trionfato nella edizione precedente. Accadde dal 1970 al 1979 con una frequentazione a certi livelli che forse soltanto i Boston Celtics, nella National Basketball Association, avevano rappresentato, dall’inizio degli anni ’60 per circa 11 stagioni. E di quelle 10 finali giocate di fila Varese ne ha portate in bacheca ben la metà, che non è poca roba, se non proprio una percentuale, come dire, soddisfacente in tutto e per tutto.

Il decennio era cominciato con il successo del Real Madrid sul Maccabì Tel Aviv, squadra-simbolo d’Israele; la quale si sarebbe rifatta nell’edizione 1980-81 con la vittoria, di un solo punto, 80-79, sulla Virtus Bologna sponsorizzata Sinudyne. E pensare che il Maccabì avrebbe raggiunto 7 volte la finalissima vincendo solo questa. Incredibile ma vero, per i sostenitori della formazione in “giallo”.

Nel 1982 una grandissima Pallacanestro Squibb Cantù ebbe la meglio sul Maccabì in una partita memorabile, vinta da Pierluigi Marzorati e compagni di avventura per 86-80. Nel 1983 a Grenoble una pur grintosa e valida Olimpia Milano subì una beffa clamorosa. Sotto di un punto con i cugini canturini, a soli 2” dalla fine non venne fischiato un fallo su Gallinari sotto al canestro avversario, che l’arbitro Mainini, un modesto francese che sarebbe (!) poi diventato responsabile europeo degli arbitri, non si sentì di segnalare. La Ford Cantù superò il Billy Milano 69-68 in una edizione della Coppa di valore assoluto, con il Real Madrid terzo e il CSKA Mosca quarto.

La supremazia italiana sarebbe proseguita con quella grande versione del Banco Roma di Valerio Bianchini l’anno successivo. La cosa arriva grazie alla vittoria ottenuti contro il favoritissimo Barcellona, con un gruppo di romani innestati dal Vate. E un romano, Stefano Sbarra, segnò i due tiri liberi della sicurezza, a 35” dalla fine, con il Banco avanti di 4 punti. Non esisteva, ancora, il tiro da 3, e la scelta il tecnico di Torre Pallavicina, avrebbe potuto indirizzarla sulla gestione di una rimessa. La sua strepitosa squadra vinse 79 a 73 contro il più bel Barcellona della storia, che era l’ossatura della nazionale spagnola.

Nella crescita, del gruppo e mentale, di una grande Olimpia Milano, anche il calice agrodolce, di una finale di Coppa delle Coppe persa con il Real Madrid, e la squadra italiana affatto trattata benissimo (…). E il successo, il 21 marzo del 1985, in Belgio, in Coppa Korac – la Coppa Uefa della Pallacanestro per intenderci – contro la Ciao Crem Varese, superata per 91 a 78 e all’epoca guidata, tra gli altri, dall’odierno C.T. della Nazionale, Romeo “Meo” Sacchetti.

Tornando alla Coppa dei Campioni i due anni successivi sarebbero stati dominati dal talentuoso team del Cibona Zagabria, una volta capace di superare il Real Madrid. E nel 1986 di battere un ottimo Zalgiris Kaunas, con la Simac Milano terza!

Ma Milano il capolavoro assoluto l’avrebbe vissuto l’anno dopo, ai quarti di finale, dopo aver perso a Salonicco di ben 31 punti! Una sorbola mal vissuta dai grandi campioni a disposizione di Dan Peterson. I quali, in gara-2, difesero alla morte, in prevalenza sciorinando la 1-3-1, creatura dell’ex allenatore della Bologna sculettata nel 1976. Con alcuni italiani vinti il grande stratega di Evanston costruì quella che a oggi risulta una delle rimonte più grandi, nella storia dello sport europeo. 83 a 49. Nessun problema in semifinale.

Contro il Maccabì la partita della coraggiosa e intraprendente Olimpia Milano fu tutto tranne che semplice. A meno di 90″ dalla fine D’Antoni fuori per falli, uscito dal campo inviperito con gli arbitri. E con Franco Boselli al posto suo nel ruolo di playmaker. Dino Meneghin avrebbe la palla del ko, del possibile +4, a pochi secondi dal 40’. Il problema è che all’eroe di 29 campionati fossero già saltati i muscoli e si rompe l’adduttore, nel terzo tempo del possibile knock-out. Si rialza e si mette a difendere, Giamchy tira da 3 con il punteggio che dice 71 a 69 Milano. La conclusione è corta. La palla finisce nelle braccia, sicure, dell’ex Laker Mc Adoo con Premier che gli salta addosso per dire che quei 4 ultimi secondi fossero trascorsi. La Pallacanestro Olimpia dopo 21 anni è tornata sul tetto d’Europa.

Peterson ha ottenuto con una grandissima Olimpia Milano il massimo dal suo attraversamento dell’Oceano, una volta lasciata la nazionale cilena e presa per mano Bologna fino al tricolore, al terzo tentativo.

Il grande cantore dello sport USA nelle italiche televisioni avrebbe lasciato nelle mani del suo assistente Casalini la squadra più forte degli ultimi 40. Franco l’avrebbe portata a vincere la Coppa Intercontinentale.

E, l’anno dopo, ancora contro il Maccabì, a Gand, a bissare la Coppa dei Campioni. A coronamento di un meraviglioso ciclo per la Pallacanestro Olimpia Milano. In un decennio probabilmente irripetibile, se rammentiamo di eccepire quello targato Ignis, degli anni ’70.