Gioco: attività volontaria divertente e benefica, si parla di play therapy nei casi in cui il terapeuta usa il gioco come metodo curativo. Ne abbiamo parlato a Tutto in Famiglia, su Radio Cusano Campus, con Katia Aringolo. “Il gioco terapeutico è quello che ci permette di entrare in sintonia con con i bisogni del bambino, e si allinea alle esigenze della famiglia. Sono molto efficaci i giochi che passano attraverso la manipolazione – ha osservato la dottoressa Aringolo – la pasta di sale, i giochi di società o il vecchio gioco del telefono senza fili, per esempio, sono attività che consentono di guardarsi negli occhi, di avere un’alternanza di turno e permettono un’esperienza relazionale. In questo modo entrano in attività neurotrasmettitori come la dopamina, e le endorfine che inducono in uno stato di benessere.”

I lego, i puzzle   

Ci sono giochi che consentono “di potersi guardare negli occhi, di immaginare. I lego, i puzzle sono attività ludiche che si possono fare in silenzio, ma nel costruire quell’oggetto si entra in contatto col proprio mondo interiore e lo si elabora – ha aggiunto Katia Aringolo – giocando coi lego è possibile tirare fuori le proprie emozioni.”

Costruire e distruggere

Gioco: permette di costruire e distruggere, “se la rabbia o la tristezza è lo stato emotivo da comunicare. La scelta dei giochi è sempre in linea con le emozioni di un determinato momento. Può andar bene anche giocare a distanza, ad esempio nascondendo oggetti che l’altro al di là dello specchio deve trovare. L’interazione oculare, il guardarsi, guardare il volto dell’altro è importante.”     

La dimensione del gioco può essere interattiva o solitaria, “è importante concedere lo spazio al ragazzo per poter giocare da solo, è un momento in cui si sogna – si è congedata la dottoressa Aringolo – gli adulti, gli amici, gli altri, devono però ricordarsi di rispettare i momenti in cui è giusto giocare,” dagli altri.

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