In questi giorni, stiamo ascoltando le storie di tanti italiani bloccati all’estero per l’emergenza Coronavirus. Voli sospesi, Paesi blindati. I nostri connazionali provano a tornare in Itala: sono turisti, studenti «fuori sede», lavoratori spaventati dal restare senza assistenza sanitaria. Sono storie, vere e drammatiche, che sconvolgono la nostra piccola quotidianità tra le mura domestiche. Eppure, per fortuna, ci sono anche storie differenti, in parte belle, che fanno emergere i valore dell’amicizia e la voglia di non arrendersi e di non disperare. Questa è la storia degli studenti Erasmus Unicusano che hanno scelto di trascorrere la mobilità per studio presso l’Ateneo romano. È una storia diversa, questa. È una storia di accoglienza e solidarietà a 360°, indipendentemente dalla nazionalità di origine. Una voce fuori dal coro, quella della Niccolò Cusano, che rafforza il valore umano di questa Università.
Studenti Erasmus Unicusano
Studenti Erasmus Unicusano. La loro esperienza presso l’Ateneo romano è iniziata il 6 febbraio 2020. E dopo appena venti giorni, lo scorso 26 febbraio quando tutte le attività didattiche sono state – giustamente – sospese per le prime problematiche dovute al Covid-19, hanno percepito la preoccupazione reale della situazione. Alcuni hanno deciso di ritornare a casa, altri sono rimasti all’interno del Campus, con la speranza che si trattasse di un breve periodo d’emergenza e di restrizioni. Abbiamo intervistato la dott.ssa Laura Pecetta – Manager of National and International Projects di Unicusano – per saperne di più.
Intervista a Laura Pecetta – Manager of National and International Projects presso Unicusano
Ciao Laura, attualmente quanti studenti Erasmus ci sono nel Campus universitario?
Ospitiamo 7 studenti nel campus di via don Carlo Gnocchi: 6 per mobilità per studio e 1 stagista della Facoltà di Scienze dell’Educazione. Altri 3 ragazzi, sempre nostri studenti Erasmus, sono rimasti a Roma ma vivono in centro storico.
Perché gli studenti Erasmus hanno deciso di restare in Italia?
La decisione di rimanere è dovuta in parte alle restrizioni e alle misure di controllo attuate dai diversi Paesi. Nonché alla successiva decisione del Governo e degli altri Stati Membri a ridurre fino a sospendere del tutto i collegamenti via aria e via terra. Ad esempio le 3 ragazze turche sono state obbligate a restare in Italia, in quanto il loro Paese ha bloccato fin da subito i collegamenti con il nostro. La Macedonia e la Grecia invece hanno adottato, dopo il Decreto del 9 marzo 2020 che ha dichiarato Italia zona rossa, delle misure molto rigide per coloro che provenivano dal nostro Paese, con una quarantena obbligatoria presso 4 ospedali distribuiti sul territorio. Il Portogallo prevedeva una quarantena ai domiciliari. Pertanto, la decisione è stata in parte determinata dalle circostanze: i ragazzi hanno vissuto momenti di grande tensione e di forte preoccupazione accompagnato dall’accorato appello delle loro famiglie a tornare a casa. A tutto ciò è poi seguito un momento di riflessione basato sul rischio per la propria salute e sul rispetto e la tutela delle rispettive famiglie. C’è stato un lungo confronto con loro, prima di persona e poi, purtroppo, tramite chat e telefonate; in simultanea gli trasferivo informazioni aggiornate sul sito dell’unità di crisi della Farnesina.
Che sensazioni hanno vissuto in questi giorni gli studenti Erasmus Unicusano?
È stato un momento davvero complesso da fronteggiare perché sono sempre ragazzi di 23/25 anni lontani dai propri affetti, travolti improvvisamente da un vortice di emozioni positive e negative, da incertezza e un po’ di paura. Nonostante il forte desiderio di ricongiungersi con i propri cari, hanno preso forza e coraggio per affrontare questo aspetto collaterale della loro esperienza Erasmus+, accompagnati dal desiderio di rimanere uniti. Si sono stretti tra di loro ed ora sono legati da un sentimento di amicizia che, sono sicura, rimarrà presente per il resto della loro vita. Le preoccupazioni sono all’ordine del giorno e credo che saranno ancora più forti se il virus dovesse invadere in maniera drammatica i loro Paesi.
Come vivono le loro giornate nel campus?
Se non fosse per il limite di non oltrepassare il cancello, direi che stanno vivendo bene considerato anche il contesto generale di normalità limitata. Anche per loro è attivo il servizio didattico online. Attualmente, il martedì e il giovedì hanno la video conferenza per il corso di italiano per stranieri. Inoltre, studiano e preparano gli esami: martedì scorso hanno svolto l’esame di Sociologia del Turismo in videoconferenza. Il venerdì o il sabato sera, grazie ad alcuni colleghi dell’unità d’emergenza che vivono dentro al Campus, organizzano serate di karaoke. Insomma, non sono lasciati soli a se stessi ma socializzano – sempre mantenendo le misure di sicurezza vigenti – e prendono parte anche ai flash-mob delle 18.00 che invitano noi tutti a cantare i classici della musica italiana dalle nostre case. Piccole iniziative di solidarietà cittadina che ci fanno sentire uniti seppur distanti…
Iniziative future?
Sto cercando di realizzare con loro – a distanza – un Book Lovers Club.
Quindi siete spesso in contatto?
Certo, li sento quotidianamente. Dal momento del loro arrivo ho creato un gruppo whatsapp, per ragioni diverse dallo studio (cambio piani di studio, problemi di materiali, fino a momenti di supporto motivazionale e di assistenza nel caso gli occorra qualsiasi cosa). Sono il loro punto di riferimento.
Questa è l’Italia che amiamo, fondata sull’integrazione, la solidarietà e l’accoglienza.
***Articolo a cura di Michela Crisci***