Non chiamatelo semplicemente telelavoro. È un vero e proprio modello di organizzazione aziendale fondato sulla flessibilità e sulla fiducia tra datore e dipendente. Parliamo di smart working: il “lavoro intelligente” che ha consentito a tante aziende di affrontare prontamente e in modo agile l’emergenza COVID-19.

Unicusano e Smart Working

Lo smart working offre tanti vantaggi come l’ottimizzazione del lavoro e la riduzione dell’inqunamento; ma in questo particolare momento storico offre, soprattutto, la possibilità di salvaguardare la propria salute.  L’Università Niccolò Cusano si è subito attivata per avviare il lavoro agile nella sua struttura e, di conseguenza, garantire il diritto alla salute dei suoi dipendenti e il diritto allo studio dei suoi 30 mila studenti. Abbiamo intervistato Pietro Dipalo, IT Manager dell’Unicusano, per saperne di più.

Intervista a Pietro Dipalo, IT Manager dell’Unicusano

Buongiorno Pietro, come è stato introdotto e attivato lo smart working alla Cusano?

L’Unicusano era già dotata dei sistemi informatici per far fronte a questa situazione. Infatti, il sistema per agevolare lo smart working è stato implementato da anni, anzi è stato pensato sin dal primo giorno di attività perché, quando si studia per diventare esperti di Sistemi informatici, alla prima lezione ti viene insegnato che nel progettare una qualsiasi infrastruttura di rete bisogna subito pensare a due paroline magiche che sono: Disaster Recovery e Business Continuity. Di fronte a questa emergenza del COVID-19 abbiamo solo messo in pratica ciò che era già stato progettato.

Quante postazioni a distanza per smart worker sono state implementate?

Circa 250. La maggior parte degli utenti possedeva un Pc personale, a chi ne era sprovvisto l’Università ha provveduto a fornire un laptop: ne avevamo in casa circa 20, è bastato semplicemente installare dei software e consegnarli agli utenti.

È stato difficile passare dall’attività in sede al lavoro agile in 48 h?

Non è stato semplice, non per problemi di natura hardware o software, bensì perché lo staff non è abituato a lavorare da casa e c’è voluta molta pazienza da parte del nostro reparto.

Tecnicamente è possibile controllare lo smart worker?

Assolutamente sì. L’utente che lavora da casa – avendo accessi protetti tramite VPN – è costantemente monitorato, sappiamo a che ora accede e a che ora si disconnette; mentre quando è in ufficio non possiamo sapere a che ora arriva o accende il suo PC, quindi direi che c’è più controllo rispetto all’utente locale.

Secondo lei, in Italia, siamo pronti tecnologicamente per passare al lavoro agile?

Ancora non del tutto perché molte aziende vedono l’informatica come un costo e non come una opportunità. Altro grande problema sono le linee dati ancora non pronte e non allineate come portata e velocità con il resto d’Europa, basti pensare che in questi giorni di lavoro da casa, la velocità globale è calata di circa il 20% secondo fonti “Ookla” il più importante speed test al mondo.

Lei fa parte dell’unità d’emergenza e, quindi, ha deciso di restare all’interno del campus unicusano per dare il suo prezioso contributo. Ci descrive di cosa si occupa nel dettaglio e come il suo ruolo sia di fondamentale utilità per garantire i servizi didattici e amministrativi?

Il mio ruolo è IT Manager o responsabile dei sistemi informatici. Inutile che le sottolinei quanto il nostro reparto sia sotto stress in un momento simile, inutile che le sottolinei che in questo preciso istante tutto lo smart working si regge solo ed esclusivamente sul nostro operato e sulla nostra continua supervisione. Per dare una definizione corretta dovrei dirle che la corretta funzionalità dei sistemi informatici garantisce insieme al lavoro delle persone la corretta funzionalità dell’Ateneo. Volevo anche ringraziare l’enorme sforzo del mio collega Massimiliano Giannini, che merita veramente un applauso in un simile momento.

Lo smart working – accelerato dal COVID-19 – ci insegnerà molto: lato lavoratori, ci rimetterà in discussione e ci porterà a sviluppare nuove competenze; lato aziende, richiederà grandi processi di innovazione e digitalizzazione che non possono più essere rimandati nel nostro Paese. In sintesi, impareremo tutti a reinventarci.

 

***Articolo a cura di Michela Crisci***