Il Prof. Domenico De Masi, sociologo, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.
Sullo smart working e il telelavoro
“E’ un vero peccato. Si poteva introdurre il telelavoro con molta calma, nel modo migliore. Invece non lo si è fatto e ora si realizza a precipizio, però meglio questo che niente. Il telelavoro esiste da molto tempo, si poteva fare addirittura quando esisteva solo il telefono. Poi è arrivato internet, ma le aziende non si sono comunque convinte. Di 23 milioni di lavoratori, 16 fanno lavori intellettuali e di questi alcuni non possono fare telelavoro perché si tratta di front office, ma almeno una decina di milioni di persone potrebbero lavorare la casa, invece solo 500mila ad oggi fanno telelavoro. E i capi cercano anche di convincerli a non farlo. E’ la sindrome di Clinton, che non avrebbe mai voluto che la sua stagista facesse telelavoro. Chi fa telelavoro risparmia tempo, denaro, stress, recupera il rapporto con la famiglia, col proprio quartiere in cui vive. Si riduce il traffico, le spese per la manutenzione stradale, l’impatto sull’ambiente. Anche l’azienda avrebbe vantaggi. E’ inconcepibile che ci sia questa resistenza dei capi. Le persone con cui ho parlato che hanno provato il telelavoro non tornerebbero mai indietro, perché i vantaggi sono davvero tanti. Lo Stato ha una leva straordinaria, ha 4 milioni di persone che lavorano per enti pubblici, quindi lo Stato dovrebbe cominciare da se stesso. Sotto l’urto dell’emergenza Coronavirus, tutta la Tim può far telelavoro, però in alcuni casi solo 2-3 giorni alla settimana. E comunque mi risulta che molti capi della Tim incoraggiano i dipendenti a non fare telelavoro. Io lavoravo all’Iri e dovevo uscire tutti i giorni da casa mia per andare a piazza Esedra, facevo un po’ di aula e gran parte del tempo a studiare. Dissi al mio capo: perché non ci fa studiare a casa? E’ noto che con il telelavoro si fa in 4-5 ore quello che in azienda si fa in 8 ore. Da quella lotta, anche sindacale, cominciò il mio impegno su questo piano”.