Perdono: è il più potente e il più difficile atto d’amore che si possa compiere, verso se stessi, verso il carnefice e verso la vita. Viene spesso confuso con l’accettazione di un episodio sgradevole, ma non è la stessa cosa. C’è pure chi ritiene non sia possibile perdonare una mancanza di rispetto, un episodio di sopraffazione e che una volta subite certe ingiustizie si può soltanto andare oltre. Mai dimenticare.
Il perdono è una nobile virtù
Abbiamo provato a capire meglio cos’è il perdono con l’aiuto di Adriano Formoso, psicoterapeuta e Padre Lucio Boldrin, cappellano del carcere di Rebibbia. “Per arrivare a perdonare bisogna aver fatto un lavoro esistenziale, di consapevolezza su se stessi, è un valore talmente nobile che quando viene prodotto o vissuto va stimato e riconosciuto. Il perdono non è segno di debolezza, è una virtù, un dono, che una persona può ricevere o conquistarsi – ha osservato Adriano Formoso – chi confonde il perdono con l’accettazione va osservato attentamente. La vita è un’esperienza di dolore che riguarda tutti, anche se viviamo momenti belli. L’esistenza umana è, per molti aspetti, un’esperienza di sofferenza.”
Perdono: chi perdonare? Chi commette uno sgarbo ledendo “le leggi dell’amore, della prosocialità – ha aggiunto il dottor Formoso – non tutti sono in grado di rispettare gli altri.”
La realtà carceraria, ad esempio, è uno dei tanti contesti dove il valore del perdono può liberare chi ha commesso un crimine dal dolore, eppure “chi commette un reato è l’ultimo che riesce a perdonarsi, se riesce. Il carcere viene visto come una realtà dove buttare via la chiave – ha detto Padre Lucio Boldrin, il quale tiene un diario della realtà carceraria di Rebibbia e racconta la vita e il vissuto dei carcerati – il carcere non rieduca, molte persone si trovano ripiegate su se stesse: provano rancore, solitudine, abbandono. Molti di loro sono malati, fisicamente, dovrebbero andare in ospedale, altri sono anziani e hanno dei tumori di cui nessuno si prende cura. Il carcere diventa la discarica di tante realtà di sofferenza.”