Il taccuino è diventato un block-note di quelli grandi. Quali sono state le idee condensate su Kobe Bryant?
Il popolare allenatore e giornalista del Corriere dello Sport dice, in entrata: “E’ difficoltoso, perché la notizia è stata improvvisa, di fronte a una tragedia del genere, vissuta quella domenica sera in realtà. Avevo scritto qualcosa di Virtus Roma, che giocava fuori: sembrava una serata tranquilla. E tutto è precipitato, con la notizia, che mi ha lasciato basito”.
Poi…
“Là per là ho detto “Non è vero”, ora verifichiamo, per poi capire che non ci fosse possibilità di poter tornare indietro. Poi la tragedia si è arricchita coi nomi di altre vittime tra cui la figlia tredicenne. E’ una storia terribile come quando muore qualunque giovane, perché a 41 anni sono assolutamente una età in cui si è giovani. Il problema non è l’essere famosi o meno ma trovarsi proiettati di fronte a tragedie del genere perché ti rendi conto che la vita sia veramente un soffio”.
Un suggerimento che vale per tutte, le situazioni della vita: “Delle volte rimandare quello che si può fare è sbagliato perché non abbiamo una percezione di come ci si possa difendere da alcuni eventi come questo di Kobe. E da lì è partito tutto il resto e cioè la perdita di un giocatore che aveva già lasciato il parquet ma che continuava a riempire cronaca e immaginario e tutto quello che vogliamo. Credo che non ci sia un ragazzino che fa Pallacanestro adesso benché giovanissimo che non sappia che non sia Kobe Bryant, che così lui abbia fatto. Il fatto che lui avesse queste radici italiane e lo rendeva, questa cosa, vicino a noi”.
Lui ha avuto la fortuna nell’infanzia e nell’adolescenza, di seguire Joe, il padre, che ha militato in 4 squadre italiane. Dal tuo punto di osservazione, che conosci tutte le categorie ha avuto la fortuna di seminare bene, nei rapporti umani. Questo colpisce ancora di più perché la “nostra” disciplina ti lega, forse, tutta la vita. Ce lo diceva qualche giorno fa Dino Meneghin, non l’ultimo arrivato, voglio dire.
“Assolutamente. Cogli nel segno. Per quanto le doti tecniche le abbia raffinate gliele ha donate Madre Natura prendendo dalla genetica di Papà Joe. Invece le doti umane sono quelle di un ragazzo solare cresciuto in un’Italia che forse era un po’ più bella di quelle di oggi, in delle piazze particolari di provincia; Rieti, Reggio Emilio, Reggio Calabria, Pistoia. Non ha vissuto l’incubo delle grandi metropoli prima di trovarsi riproiettato a Los Angeles, dopo essere nato a Philadelphia”.
Fabrizio Fabbri parla proprio del Kobe italiano: “Credo che questo bagno nella provincia italiana lo abbia reso ancora più simile a noi comuni mortali. Quel sorriso furbacchione stampato sulla credo che faccia un po’ parte delle sue esperienze più a Sud, quelle di Rieti e Reggio Calabria, dove ha imparato a conoscere la solarità di quella gente. Come poi il pragmatismo che ha appreso a Reggio Emilia e Pistoia. Aveva delle doti umane eccellenti”.
L’onestà intellettuale di Fabrizio Fabbri ci riporta a un’accusa poi rimessa a posto dalla diplomazia degli avvocati: “E’ stato trascinato per i capelli in una brutta storia, che riuscì a chiudere una storia che provò a mettere a repentaglio la serenità della sua famiglia”.
Per il resto Fabbri dice: “Ne è uscito pulito, era un ottimo giocatore, un bel padre di famiglia”.
Il collega del Corriere dello Sport conclude così, con grande sensibilità: “Lo sappiamo: è andato via troppo presto, non lo dobbiamo continuare a dire noi. Se il mondo sta piangendo, se per un giorno Trump e Obama sono riusciti a scrivere la stessa cosa ci sarà un motivo…”.