Il testimone di giustizia Luigi Coppola, presidente dell’associazione antiracket movimento per la lotta alla criminalità organizzata, ha denunciato i camorristi che gli chiedevano il pizzo, ha fatto arrestare una trentina di persone appartenenti ai clan. Oggi è stato dimenticato dallo Stato. A Radio Cusano Campus, nella trasmissione “Cosa succede in città”, condotta da Emanuela Valente, Luigi Coppola ha raccontato la sua storia.
La storia
“Purtroppo lo Stato, dopo avermi ‘usato’ e avermi sventolato come bandiera della legalità, ha messo sulla bilancia i costi che avrebbe dovuto affrontare per tutelare la mia persona –ha affermato Coppola-. La situazione è molto complessa, a dire delle istituzioni, ma andrebbe semplificata col fatto che se lo Stato vuole abbattere la criminalità organizzata deve imporsi e lo può fare solo attraverso le pochissime persone che hanno il coraggio di denunciare l’imposizione del racket, l’usura e altre cose che purtroppo in Italia sembrano normali come la corruzione. Uno dei boss che ho fatto arrestare nel 2001 e successivamente condannato ha scontato ormai la pena di 18 anni di detenzione ed è uscito a dicembre scorso. L’ho incontrato diverse volte per strada. Ho comunicato questa mia preoccupazioni, ma non ho avuto nemmeno una rassicurazione in tal senso. Poi ci sono altre cose che non vanno, a cominciare dal lavoro promesso attraverso una legge: chi è testimone di giustizia dovrebbe lavorare nella Pubblica amministrazione. Hanno successivamente aggiunto una postilla alla legge per estromettere chi, come me, era già fuoriuscito dalla produzione. Ci stanno lavorando. L’onorevole Piero Aiello ultimamente ha presentato degli emendamenti per modificare questa norma che è anche incostituzionale. La scorta non ce l’ho dal 2013, ho una vigilanza che ogni tanto passa a casa, ma non è che mi segue negli spostamenti. La preoccupazione non è tanto per me, ma per la mia famiglia. Sono loro che pagano maggiormente le conseguenze di questa situazione”.
Il ritorno a Pompei
“Sono tornato a Pompei e i miei concittadini hanno firmato una petizione per farmi allontanare perché hanno paura. Volevo proseguire con la mia attività lavorativa, il mio autosalone, ma è stato boicottato. Ci ho rimesso 400mila euro. Se le macchine le compri e non le vendi diventano catenacci. Ho chiesto un incontro al ministro dell’interno Lamorgese per chiarire alcune nefandezze dello Stato, però il ministro ha preferito delegare un suo funzionario per dirci nulla di nuovo rispetto a quello che già sapevamo. Evidentemente questo ministro si ritiene un tecnico e non vuole entrare nella posizione che un governo dovrebbe assumere nei nostri confronti e rimanda tutte le attività a livello di interessamento politico al servizio centrale di protezione e alla commissione centrale per i testimoni di giustizia. Decisioni tecniche non possono mai portare a superare tutte le nostre problematiche. Nonostante tutto io consiglio agli imprenditori e ai commercianti di denunciare il racket. Ho creato un’associazione proprio per portare avanti la legalità che tutta la politica ha svuotato del valore”.