Il magistrato Giancarlo Caselli è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Il magistrato Giancarlo Caselli: “Certezza della pena? Si può avere solo accelerando i processi. Sento il governo parlare di riduzione a 4 anni, non vorrei fossero numeri buttati a caso. Bisognerebbe eliminare l’appello come in tutti i Paesi democratici. Oggi esistono due codici: uno per i cosiddetti galantuomini, quelli perbene a prescindere, e l’altro codice per i cittadini comuni. Nel primo caso il processo serve a misurare l’attesa della prescrizione, nel secondo caso la giustizia spesso segna irreversibilmente la vita e i corpi delle persone. Ergastolo ostativo? D’accordo con Bonafede. Il mafioso resta sempre mafioso, non può cambiare. Se ricominciamo da capo smantellando il sistema 41 bis ed ergastolo ostativo non facciamo un buon servizio al nostro Paese sul fronte della lotta alla mafia”
Sulla certezza della pena in Italia
“Certezza della pena significa regolare, rapido funzionamento del sistema giudiziario, altrimenti è una parola vuota –ha affermato Caselli-. Se le sentenze arrivano dopo anni e anni, c’è un funzionamento generale del sistema e una fascia dell’azione di legge che esce dai radar e la certezza della pena sfuma. Allora dobbiamo chiederci come far funzionare la giustizia. Io sento che c’è un dibattito in corso nell’attuale maggioranza che avrebbe trovato un accordo per la riduzione dei tempi dei processi civili e penali. I tempi sarebbero ridotti a 4 anni. Sono numeri spero non buttati a casaccio, sono numeri fin troppo impegnativi. Per riuscirci bisognerebbe fare una rivoluzione e non la vedo all’orizzonte. Io ho una mia ricetta, che non piace a molti, soprattutto agli avvocati: l’abolizione del grado di appello. Fra tutti i Paesi democratici occidentali con sistema accusatorio, l’Italia è l’unico Paese che ha più gradi di giudizio. Gli altri Paesi hanno solo un primo grado e poi una Corte suprema. Allinearsi a questo sistema sarebbe un progresso. I magistrati che oggi fanno l’appello potrebbero concentrarsi sull’arretrato, che in due-tre anni sparirebbe. Poi potrebbero essere riversati sul giudizio di primo grado che in questo modo avrebbe una straordinaria accelerazione. Diminuirebbero le garanzie? Ma la vera garanzia sta in un processo breve, che possa puntare ad una giustizia certa, non in un processo come quello che abbiamo oggi che è un percorso a ostacoli. Chi si può permettere difese costose punta all’impunità arrivando alla prescrizione. Così arretrano le garanzie verso il basso, quelle applicate ai soggetti più deboli. Noi abbiamo due codici: uno per i cosiddetti galantuomini, quelli perbene a prescindere, e l’altro codice per i cittadini comuni. Nel primo caso il processo serve a misurare l’attesa della prescrizione, nel secondo caso la giustizia spesso segna irreversibilmente la vita e i corpi delle persone”.
Sulla durata delle pene
“Chi come i mafiosi, ontologicamente, non si pente, non ha nessuna intenzione di reinserirsi nella società. Fuori da questo caso, la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Per obbligo di legge però succede che si venga arrestati, anche per fatti gravi, e il giorno dopo si recupera la libertà. I magistrati potrebbero essere più “duri”, ma nella stragrande maggioranza dei casi non fanno altro che applicare la legge. Su questo bisognerebbe intervenire, senza ovviamente passare dalla troppa ‘generosità’ allo spirito vendicativo”.
Riguardo l’attesa decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo sul carcere ostativo
“Sono d’accordo col ministro Bonafede sulla questione del carcere ostativo –ha affermato Caselli-. Storicamente e culturalmente è certo che la qualità di un ‘uomo d’onore’, una volta acquisita cessa soltanto con la morte. Anche se il mafioso si trasferisce in luoghi lontani e viene estraniato fisicamente e geograficamente dalla sua famiglia, deve essere sempre disponibile a soddisfare qualunque richiesta che l’organizzazione gli rivolga. Il suo modello culturale comporta una dipendenza assoluta dell’individuo dal clan. Il mafioso si sente un super uomo. I veri uomini sono quelli dell’organizzazione, tutti gli altri sono individui che devono essere sfruttati e se necessario sacrificati alla causa, perché non sono persone ma oggetti inanimati. Il mafioso giura fedeltà all’organizzazione in perpetuo. Il mafioso non può cambiare, anche la pena non può cambiare. Concedere benefici ai mafiosi significherebbe dare spazi porterebbero il mafioso a ricominciare. Se ricominciamo da capo smantellando il sistema 41 bis ed ergastolo ostativo non facciamo un buon servizio al nostro Paese sul fronte della lotta alla mafia”.