La radio-intervista: Massimo Cacciari
MASSIMO CACCIARI: “il grande rischio per il PD non è il Lazio. La battaglia campale è in Emilia Romagna. Dovesse vincere la Lega sarebbe dura…”
Il filosofo Massimo Cacciari, ex Sindaco di Venezia, è intervenuto a Radio Cusano Campus, esprimendo il suo pensiero sull’attuale situazione della politica interna.
Alla luce di quello che sta accadendo il Professor Cacciari ha detto: “Ho detto in tempi non sospetti che il Partito Democratico avrebbe dovuto comprendere la natura del Movimento 5 Stelle, comprenderne bene l’incompatibilità strategica, culturale, antropologica con Salvini e la Lega, e lavorare su questa differenza, su questa contraddizione con pazienza rivolgendosi all’elettorato 5 Stelle, non ai Di Maio, che non contano niente. Ma all’elettorato 5 Stelle, a chi vota, i 5 Stelle, a quella metà dei votanti di Renzi di 5 anni fa, che sono passati ai 5 Stelle. E su quello, positivamente, con modestia, lavorare, per convincerli assolutamente del carattere impraticabile della relazione con la Lega. E preparare un’eventuale alternativa. Non è stato fatto nulla, di tutto ciò”.
Cacciari, come è noto, non soffre, di cali di memoria: “A chi, come me, avanzava questo discorso è stato risposto in modo direi altrettanto villano e idiota, che i 5 Stelle e la Lega erano la stessa cosa. Si è arrivati al punto in cui era evidente si arrivasse, perché la crisi ha una genesi molto precisa ossia che la Lega non ce la faceva, a fare la manovra di bilancio, che non contenesse nulla dei suoi obiettivi strategici: flat-tax, autonomia delle regioni, e Salvini ha giustamente, dal suo punto di vista, tentato il blitzkrieg (tattica impiegata dall’esercito tedesco nel secondo conflitto mondiale, n.d.r.): prendiamo tutto e vediamo”.
Invece…
“E gli è andata male. A questo punto, improvvisamente, senza qalcuna preparazione, senza alcun discorso, senza alcuna intesa, ecco che molti del P.D., in testa Renzi, che era quello che diceva “Chi tocca i 5 Stelle muore”, dicono: facciamo il Governo, senza “se” e senza “ma”. Mettendo il povero Zingaretti, che aveva puntato tutto, sulla discontinuità, in una situazione di enorme difficoltà, che perdura”.
Cacciari va a fondo sul suo parere: “Non ero contrario a una intesa, ma andava preparata culturalmente, politicamente, non è stato fatto nulla, di tutto ciò. Ed è evidente che questa intesa si presenta come la più volgare delle intese palazzinare, come il salvataggio di qualche posto da parlamentare, e nient’altro. Per forza, è inevitabile, che la gente la viva così, perché non è assolutamente stata preaparata in modo diverso”.
L’affondo di Cacciari propone un severo ma giusto termine di paragone che sa di ossimoro: “In politica, prima di arrivare al Compromesso Storico, per usare dei paragoni che non stanno in piedi, perché la classe politica di allora è imparagonabile, a queste cialtronerie attuali, ci fu un dibattito di due anni nel Partito Comunista e nella Democrazia Cristiana; c’erano i Moro, c’erano i Fanfani, c’erano gli Andreotti, che parlavano, discutevano, spiegavano alla gente perché occorresse una certa scelta piuttosto che un’altra. Non esisteva che dalla mattina alla sera andassero senza neanche consultare nessuno e dicessero: “Adesso, sapete, dopo aver fatto l’alleanza con Almirante adesso facciamo lo stesso con Berlinguer. Siamo al colmo di una malattia mortale della politica italiana, da sempre, che si chiama trasformismo. Questo limite non può essere superato”.
E il P.D. si è fatto coinvolgere, questo le dispiace maggiormente…
“Cosa doveva fare, Zingaretti? Zingaretti ha tutti contro da D’Alema, a Renzi passando per Rifondazione Comunista, l’Europa, poi la Chiesa; chi è, che non ha contro? Tutti spingono in quella direzione”.
Magari potrebbe dimettersi da segretario, per coerenza…
“E’ una tentazione, se passa il Conte-bis/Di Maio cioè cose inenarrabili, penso che Zingaretti in quel senso, un pensierino lo farà”.
Questo confronto non lascia nessuno spazio a quello che dice lei, alla costruzione di un rapporto con l’elettorale dei 5 Stelle?
“Può darsi, ma attraverso che cosa…Conte, che è l’uomo aperto e disponibile a tutto, con un bel sorriso, dice “Sono qua, chi mi vuole, chi mi ama?”. Questi sono la negazione delle tecniche della Politica. L’altro, Di Maio, avrebbe voluto distrattamente restare con il suo amico Salvini, è lì che neanche cita il Partito Democratico, non parla, della trattativa con il PD: sono degli ignoti, con i quali sta parlando e coi quali dovrebbe fare il Governo”.
E’ abbastanza logorante che i 5 Stelle dicano: “La nostra pazienza ha un limite”!
“C’è una maggioranza ampia, del PD, che dice “Basta che se magna”. E poi ci sono anche delle posizioni serie, per carità. Ne ho citate all’ammasso: quelle che emergono da certi settori della Chiesa sono responsabili. Già il far fuori Salvini è un grande risultato: questa è la posizione della struttura episcopale italiana, no?! Hanno sofferto la presenza di Salvini anche dal punto di vista antropologico in un modo drammatico”.
Professore, forse dimentichamo un passaggio, che ci dovrà essere. A meno che il Movimento 5 Stelle non cambi modus operandi, andrà confermata un eventuale accordo con il PD sulla sua piattaforma Rousseau. E, storicamente, gli elettori del Movimento 5 Stelle non sono molti propensi a guardare con simpatia il P.D.
Cacciari sbotta e ribatte: “Ma lasci stare la pagliacciata della Piattaforma Rousseau. Gli fanno dire quello che vogliono: le domande le decidono loro, le risposte le selezionano loro. Di quale trasparenza parliamo? Quale attendibilità può avere un risultato del genere? Ma per carità di Dio!”.
Potrebbero salvare il tutto delle idee progettuali di programma di governo buone, che diano magari una scossa al Paese?
“C’è poco da fare: la politica è anche immagine. Non può esserci una credibile discontinuità laddove c’è una forza, i 5 Stelle, che non faranno la minima riflessione autocritica comunque, e ripresentano Conte e Di Maio con Conte presidente e Di Maio presenta qualche ministro. Che credibilità possano avere, con i programmi? Dei programmi sono lastricati come le strade dell’inferno, come diceva quel tale!”.
Zingaretti sta provando di tutto…
“Zingaretti fa quello che può, lo comprendo, lo compatisco, soffro con lui ma capisco benissimo che possano farcela alla fine a tenere. Lui ha cominciato dicendo chiaramente, onestamente: si va a votare”.
Salvini era sicuro, di questo, che il PD avrebbe chiesto il voto.
“Salvini le ha sbagliate tutte soprattutto ha drammaticamente sbagliato nel fare marcia indietro perché si è sputtanato lui e ha messo i 5 Stelle di non poterlo fare. Se qualche volta anche gli avversari politico leggessero quello che dico, perché dopo aver presentato la sfiducia a Conte, si capiva come sarebbero andate, le cose. E prevedevo, lo dissi il giorno dopo, che Salvini ritirasse la sfiducia”.
Emerge dalla sua analisi un tema centrale, per il futuro del P.D., della Sinistra, che è il fattore Renzi. Che diventa decisivo.
“Non è il fattore Renzi come tale. Fin tanto che non si rendono conto che il Partito Democratico è un partito mai nato, come ho predicato da 10 anni a questa parte, e che quindi non continuino a stare insieme, che prendano atto che in Italia c’è una legge che è quella del divorzio civile, non necessariamente il divorzio per uxoricidio, e basta, e la facciano finita, con il tentativo di tenere insieme delle persone che si odiano anche personalmente, oltre a non avere niente, culturalmente, di comune; finché non si rendono conto che non stanno combinando niente, come fanno da 10 anni non si andrà da nessuna parte. Che Renzi faccia il suo Macron, il suo Macronino: che gli altri cerchino davvero di tenere, su una posizione socialdemocratica seria, responsabile. Poi faranno insieme, il Centrosinistra”.
L’analisi nei confronto del soggetto politico di (improbabile) Sinistra è inclemente ma diretto dell’ex primo cittadino di Venezia: “Il disegno generoso del Partito Democratico, che ho sostenuto all’inizio, con convinizione, era un disegno illuministico, utopistico, razionalistico, che non teneva conto sufficientemente della pesantezza dell’inerzia delle burocrazie, delle vecchie idee, dei vecchi leader. Ed è fallito nel momento delle dimissioni di Veltroni, è fallito lì: è inutile continuare in questa respirazione affannata bocca a bocca. Anche Zingaretti lo deve capire, e ripartire, in qualche modo”.
Cacciari conclude su un panorama , di fronte alla possibilità, per Zingaretti, di lasciare l’incarico regionale per occuparsi di vicende nazionali: “Il grande rischio per il PD non è il Lazio, il grandissimo rischio sarebbe una fine ingloriosa è l’Emilia Romagna. E’ lì, la battaglia campale, perché se vince la Lega in Emilia Romagna, il discorso della Sinistra italiana è chiusa per due generazioni”.
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