Staremo a vedere se l’autunno sarà un autunno caldo, quel che è sicuro è che stiamo vivendo un’estate rovente.
I rapporti fra i due partiti di maggioranza hanno raggiunto un tale livello di frizione che il vincolo scaturente dal “contratto di governo” non ha tenuto alla prova del calor bianco.
Del resto la politica è così: non tollera di essere giuridificata integralmente.
Due partiti così diversi per storia, riferimenti valoriali, formula organizzativa, radicamento territoriale difficilmente sarebbero riusciti ancora a lungo a perseverare nell’ostinata opera di trovare punti di convergenza specie dopo le lacerazioni che hanno contraddistinto la campagna elettorale per le elezioni europee e la ridefinizione dei rapporti di forza in seno alla maggioranza che ne è conseguita.
Il presidente del consiglio, del resto, subito autoproclamatosi “avvocato del popolo”, si è trovato presto a ricoprire ruoli giuridicamente (è il caso di dirlo) non sovrapponibili: notaio, giudice, arbitro.
Il leader della Lega, cogliendo tutti alla sprovvista, “ha staccato la spina” nel centro dell’estate, nel corso di un suo personale tour politico nelle spiagge italiane, che si trasforma ora in una campagna elettorale già preconfezionata.
Il presidente del consiglio, però, non si è reso disponibile a percorrere la (più veloce) strada della crisi extraparlamentare. Non intende, infatti, dimettersi a meno che non sia costretto giuridicamente a farlo ovverosia in caso di formale approvazione di mozione di sfiducia nei confronti del governo da lui guidato da parte di una delle camere del parlamento.
La Lega ha così annunciato la presentazione di una mozione di sfiducia in senato.
Vanno ora osservati i tempi tecnici imposti dalla Costituzione e dal regolamento del senato per la discussione e votazione della mozione di sfiducia.
Se sarà approvata, il capo dello stato dovrà procedere alle consultazioni per verificare se in parlamento si possa comunque formare una maggioranza in grado di sostenere un altro governo.
Fatto questo passaggio costituzionalmente ineludibile, nel caso debba prendere atto che il parlamento della Repubblica non è in grado di esprimere una maggioranza che possa sostenere un governo, potrà esercitare il potere di scioglimento delle camere per andare così a nuove elezioni.
Quel che preoccupa davvero adesso è l’approvazione entro la fine dell’anno della legge di bilancio: preoccupazione avvertita di certo molto seriamente in queste ore dal presidente della Repubblica.
Se il povero don Abbondio poteva permettersi il lusso di non riuscire a darsi il coraggio che non aveva, è invece dovere inderogabile di chi si candida a ricoprire i più cruciali ruoli istituzionali avvertire (grave) il senso dello stato: che sia estate, autunno, inverno o primavera.
Prof. Federico Girelli
Associato di diritto costituzionale
Università Niccolò Cusano