Ignazio Cutrò, ex imprenditore siciliano che ha denunciato la mafia, ha rinunciato alla protezione personale dopo che è stata revocata la scorta alla sua famiglia. “Dato che hanno tolto la protezione alla mia famiglia, ho rinunciato alla scorta personale perché voglio che sia io bersaglio della mafia e che non tocchino la mia famiglia” ha affermato Cutrò ai microfoni della trasmissione “Cosa succede in città” condotta da Emanuela Valente su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.

La scelta di restare a Bivona, nell’agrigentino

“Noi non abbiamo voluto abbandonare la nostra terra, sono convinto che chi deve lasciare questa terra sono quei pezzi di merda dei mafiosi e non certo noi, quindi se ne devono andare loro –ha affermato Cutrò-. Se lo Stato si sente così forte deve togliere i mafiosi dalle nostre terre e lasciare solo la gente onesta. Se rimane solo la gente onesta, allora a quel punto puoi togliere anche le scorte. Ma finché i mafiosi scontano le loro pene e poi rimangono lì a continuare a comandare in queste terre, allora ci stanno consegnando alle mafie.

La scorta tolta ala famiglia di Cutrò

L’11 gennaio 2018 ci hanno fatto uscire dal programma testimoni di giustizia perché secondo la Prefettura e la DDA non ci sono più rischi per la mia famiglia. Il 23 gennaio 2018 ci fu un’operazione con tantissimi arresti in cui uscirono fuori intercettazioni telefoniche di due presunti boss che oggi sono entrambi al 41 bis. Uno dei boss, andando a Bivona a trovare l’altro, diceva a uno che era con lui in macchina che era sicuro che prima o poi mi avrebbero tolto la scorta e loro mi avrebbero ammazzato. Queste persone non erano parte del mio processo, a loro aveva dato fastidio che io in quel territorio avevo fatto casini, avevo fatto denunciare alcune persone. Le istituzioni hanno fatto finta che queste intercettazioni non esistessero. Siccome io devo proteggere la mia famiglia ho rinunciato alla scorta personale, perché voglio che sia io il bersaglio della mafia e che non tocchino la mia famiglia. Sapendo che io cammino per le strade di Bivona da solo dovrei essere io l’obiettivo.

Nonostante tutto Cutrò invita tutti a denunciare la mafia

“Io ho denunciato la mafia e lo rifarei perché così posso tornare a casa e guardare i miei figli negli occhi. Consiglio a tutti i commercianti e gli imprenditori di denunciare. Lo Stato siamo noi e quindi è giusto che sia così. Quando la deputata del M5S Ajello ha fatto un’interrogazione parlamentare sulla mia situazione, il sottosegretario della Lega ha detto che il referente territoriale di Agrigento scrive che quelle intercettazioni non esistevano, erano frutto di fantasie giornalistiche. Ma allora, se quelle intercettazioni non esistono, come mai io sono stato riconosciuto parte lesa in quell’inchiesta? C’è qualcosa che non va. Oppure doveva essere tolta la scorta a Ignazio Cutrò in quanto ha dato voce ai testimoni di giustizia? Forse ho dato fastidio. Il risultato è che in Italia si deve stare zitti. Il sogno di Falcone e Borsellino che un giorno gli imprenditori e i cittadini si sarebbero ribellati si è realizzato, ma le istituzioni questi cittadini li hanno abbandonati. Togliendo la scorta alla mia famiglia che messaggio hanno mandato le istituzioni? Se denunci fai la fine di Ignazio Cutrò. Ma io continuo a dire che le denunce vanno fatte”.

Col senno di poi, prima di denunciare porterei la mia famiglia lontano dall’Italia

“Ora se io dovessi denunciare, il giorno prima porterei la mia famiglia fuori dall’Italia e poi tornerei e denuncerei. Non credo più in una parte dello Stato, ci hanno traditi. Quando una parte di istituzioni ti considera una spesa, ti considera un peso, ti tratta come merce di scambio e poi si dimentica che siamo dei morti che camminano allora non hanno capito niente. Si dovrebbero vergognare quando vanno a fare le commemorazioni delle vittime innocenti di mafia. Se vogliono che queste vittime non ci siano più, allora devono iniziare a fare le giuste valutazioni”.

Riguardo la nuova direttiva di Salvini sulle scorte

“Credo che non sia una valutazione politica, è l’Ucis che deve decidere. Purtroppo la storia ci insegna che di errori sono stati fatti tanti, come nel caso di Domenico Novello, alla cui famiglia resta una medaglia al valor civile, ma lui non c’è più. Questo non ce lo possiamo più permettere”.