Competizione: bisognerebbe unicamente andare oltre i propri limiti, invece ci invogliano a primeggiare sugli altri. A scuola, durante le attività sportive, tra amici, al lavoro, la società competitiva ci induce ad avere la meglio sui competitor favorendo i più forti, non i più sensibili né i più capaci.
La sana competizione
Saper competere, dunque, non equivale all’aver acquisito competenze specifiche per un determinato ruolo, ma dimostrare particolare abilità nel raggiungere un determinato obiettivo. Quando la competizione può dirsi sana? “Quando ci porta ad uscire dalla comfort zone personale e ci permette confrontarci coi nostri limiti, quando siamo in grado di gioire dei successi altrui – ha osservato la psicologa Miolì Chiung, a Tutto in Famiglia, su Radio Cusano Campus – se pensiamo all’altro come ad un riferimento utile all’allenamento personale otteniamo un risultato propositivo e non nocivo.”
Competere per i più sensibili
Se è vero che ognuno di noi compete come può, e in base al proprio carattere, è anche vero che un sistema altamente concorrenziale può mettere i più fragili in situazioni scomode, e portarli ad ottenere risultati inferiori rispetto a quelli previsti. E’ il caso di situazioni dove c’è “ansia da prestazione, in una gara, in un esame universitario – ha osservato Chiung – offriamo meno di ciò che abbiamo, o che potremmo dare. Per questo è necessario insegnare ai bambini ad accettare la sconfitta, e non basare l’autostima personale sui risultati delle gare.”
Adulti vs bambini
Competizione: vi è mai capitato di osservare gli adulti durante le premiazioni delle gare sportive? “Vediamo alcuni di loro bruciare dentro per essere arrivati secondi – si è congedata la dottoressa Chiung – ci sono bambini che alla fine di una gara arrivano al secondo posto del podio, e sono tristissimi, e altri che al terzo podio esultano. Non è importante dove arrivi, ma da dove parti e come percepisci il tuo risultato.”