“Dafne” non è un film sulla sindrome di Down.
Ciò appare evidente già dalle prima scene, non appena si spengono le luci in sala. “Dafne” è innanzitutto la storia di una ragazza. Una ragazza forte, con un carattere complicato, a volte difficile persino per i genitori, ed un pungente senso dell’umorismo. La sua determinazione nell’affrontare la vita e l’impegno che mette in tutto ciò che fa sono ammirevoli. Ma la vera protagonista di questa storia è Carolina Raspanti, l’attrice esordiente che interpreta il ruolo di Dafne in maniera straordinariamente spontanea, facendo trasparire quello che è il suo modo di essere in relazione alla disabilità.
È proprio questa spontaneità che dona al dramma alcuni dei caratteri tipici della commedia, trasformando “Dafne” in un film che oltre a suscitare profonde riflessioni è capace anche di far sorridere e divertire.
Il regista (Federico Bondi) sceglie di esplorare il rapporto padre figlia, un legame affettivo nella vita di Dafne inizialmente negato ma che si instaura in seguito alla scomparsa della madre Maria. Il padre si chiude in se stesso per la difficoltà di elaborare il lutto mentre la figlia lo scuote e lo sprona per spingerlo a reagire.
Dafne è tra i due quella che riesce a restare lucida e affrontare la perdita in modo più sano, concentrandosi sul lavoro e mantenendosi occupata.
Solo quando raggiungeranno in una lunga camminata il paese natale di Maria, spezzando finalmente la stasi creatasi tra di loro, impareranno a conoscersi davvero.
Riascolta in podcast l’intevista al regista di “Dafne” Federico Bondi: https://www.tag24.it/podcast/federico-bondi-buio-sala/