Continua a far discutere la sentenza della Corte d’appello di Messina. La Corte ha infatti annullato il risarcimento di 259mila euro riconosciuto nel giugno 2017 dai giudici di primo grado ai tre figli minorenni di Marianna Manduca. Si tratta di Carmelo, Salvatore e Stefano, adottati dal cugino della Manduca, Carmelo Calì, e da sua moglie Paola.
“La Corte d’Appello ha letteralmente rovesciato la precedente sentenza con una motivazione che lascia interdetti perché si afferma che ‘nulla si poteva fare per salvare la vita a Marianna Manduca’”
Il Tribunale di Messina aveva ammesso la responsabilità civile dei magistrati rimasti inerti nonostante le 12 denunce e richieste di aiuto presentate dalla donna, poi uccisa nell’ottobre 2007 dal marito Saverio Nolfo. La vicenda è stata approfondita a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus. Al microfono di Fabio Camillacci è intervenuta Licia D’Amico, uno dei legali della famiglia Calì.
L’avvocato D’Amico ha esordito dicendo: “In primo grado c’era stata la condanna della Presidenza del Consiglio a risarcire il danno patrimoniale a questi tre bambini costretti a vivere senza la loro mamma per sempre visto che quando Marianna fu uccisa avevano 2,4 e 5 anni. Il presupposto della condanna decisa dal Tribunale di Messina era giustamente l’inerzia dei magistrati che di fronte alle 12 denunce presentate dalla vittima, non avevano fatto nulla per proteggere l’incolumità della donna. La Corte d’Appello ha letteralmente rovesciato la precedente sentenza. La con motivazione lascia interdetti perché si afferma che ‘nulla si poteva fare per salvare la vita a Marianna Manduca’.
Una sentenza che ha lasciato sgomenta la comunità cittadina
E’ una inesorabilità che lascia sgomenti. Non si può dire alle donne, denunciate, esponetevi, rischiate ancora di più presentando denuncia, e poi arrivare a sentenze del genere. Questo -ha aggiunto l’avvocato Licia D’Amico- è un principio che non deve passare perché può essere veramente distruttivo e fa giurisprudenza negativa; soprattutto perché la motivazione è fondata sul punto che nulla poteva essere fatto per salvare la vita a questa donna che coraggiosamente aveva richiesto aiuto e denunciato. Un principio rispetto al quale le coscienze di cittadine e cittadini si sollevano e lo stiamo vedendo in questi giorni con le numerose manifestazioni di solidarietà che continuiamo a ricevere: è veramente un’affermazione che non può essere accettata.
Se non riusciamo a proteggere le donne che invitiamo continuamente a denunciare minacce e altro, c’è veramente qualcosa di molto grave che sta succedendo; rischia di diventare la resa totale di ogni civiltà giuridica di fronte alle vittime della violenza maschile. Peraltro, vorrei anche sottolineare l’atteggiamento contraddittorio della Presidenza del Consiglio nella vicenda. In un primo momento pubblicò sul sito istituzionale un comunicato in cui diceva di apprezzare l’impegno civile della famiglia Calì. Questa si è fatta carico dei figli di Marianna Manduca e proprio per questo motivo sta valutando la rinuncia all’impugnazione della sentenza di primo grado.
Una sentenza che ha una portata generale nei confronti di tutte le donne continuamente minacciate da violenza
Successivamente però il ricorso di Palazzo Chigi non soltanto è stato presentato ed alimentato, ma ha prodotto questa sentenza di secondo grado. Adesso, io e l’avvocato Alfredo Galasso, stiamo lavorando per presentare il ricorso alla Corte di Cassazione. Si tratta, però, di un ricorso non proprio semplice perchè questa sentenza di fatto non ha una motivazione. Ovvero, non c’è una motivazione da contestare perchè una sentenza che recita ‘non si poteva fare niente’ non è certo una motivazione. Parallelamente -ha concluso l’avvocato D’Amico- stiamo preparando alcune iniziative di sensibilizzazione. Questa non è una vicenda privata che riguarda solo la famiglia Calì. Ha infatti una portata decisamente più generale nei confronti di tutte le donne continuamente minacciate da violenza”.