In occasione dell’83° compleanno di Dan Peterson Radio Cusano Campus ha voluto rendere uno spesso e affettuoso omaggio all’uomo di Evanston, Illinois, che ha saputo portare nelle case degli italiane lo sport a stelle e strisce. E lo ha fatto tramite il suo grande avversario del periodo migliore, del Basket degli Anni ’80, Valerio Bianchini, il primo allenatore a vincere lo scudetto con tre piazze differenti, Cantù, Roma e Pesaro (l’altro è Charly Recalcati, n.d.r.). L’ex coach del Bancoroma Campione d’Italia 1983 e Campione d’Europa e del Mondo a seguire (1984) ha fatto un’ottima descrizione della figura del collega che seppe riportare, nel 1987, la Coppa dei Campioni a Milano, con una strepitosa formazione guidata in campo da D’Antoni, Mc Adoo, Meneghin.
Se uno pensa al Ciclismo dice Coppi e Bartali, nella Pallacanestro vengono in mente Valerio Bianchini e Dan Peterson. Bentrovato, Coach Valerio Bianchini.
“Buon compleanno a Dan!”.
Sei stato il più tenace avversario di Dan. Parliamo di quello che lui ha saputo fare nella comunicazione sportiva.
“Certo. Arrivò in Italia con la chitarra a tracolla, che tra l’altro suona benissimo e cantava il Country, sembrava un hippy. Tutti gli allenatori degli Stai Uniti venuti in Italia avevano fallito, si aspettavano altro. Lui giunse a Bologna sotto la guida del presidente Porelli, e si è trasformato. Dopo due mesi aveva i capelli come il manager della Borsa, e un pullover di cachemere! Noi pensavamo di cucinarlo come gli altri ma ci rendemmo conto che non fu così. Oltretutto si vedeva che fosse capace di essere l’allenatore della Virtus e ha segnato nuovi modi per tutti gli altri allenatori”.
Cosa ha rappresntato coach Peterson?
“I primi anni ’70 sono stati miracolosi per il basket, come per la Musica, ad esempio, o la Moda e l’Arte. Il basket ha avuto il coraggio di fare riforme, come i playoff, importati dall’America. Giungevamo ad un professionismo più spinto, con il secondo giocatore americano. Dan insegnò a noi, comunque eccellenti nel basket, un’immagine di un allenatore non solo con la lavagnetta, ma capace di raccontare, il Basket. A tutti. Anche alzando polemiche inventate, facendo un grande favore ai giornalisti del basket, che facevano titoli per attirare l’attenzione di chi nemmeno sapeva, cosa fosse, il Basket. Ha cominciato a raccontare l’Nba in televisione in maniera efficacissima, Larry Bird, Magic Johnson e più tardi Jordan. Ulteriormente ha ampliato l’audience del basket e infine, è stato capace di scrivere manuali, di questo gioco”.
Infatti alla famosa libreria sportiva di Piazza Bologna: “Basket essenziale”. Andato polverizzato, in quegli anni, e non si è più trovato.
“Sì, quello fu il primo, poi ne scrisse anche altri, su quella scorta. La sua Pallacanestra era l’essenzialità, senza fronzoli: due, tre cose in attacco tipoi l’attacco di Milano, il famoso Attacco a “L”, un pick & roll, e la difesa 1-3-1, con la quale ha rovesciato tanti risultati”.
Anche voi per fronteggiare le sue squadre, avrete dovuto inventare qualcosa.
“Prima degli anni ’70 non arrivava niente. Dovevamo inventare. Un aspetto bellissimo, perché ognuno creava il Basket per la sua squadra, con differenziazioni notevolissime. Le squadre erano fortemente caratterizzate, con un nucleo italiano che stava lì per tanti anni. Una cosa sparita, con il “via vai dei giocatori e degli allenatori”, come a Pesaro. Una litania, Pesaro cambia l’allenatore a Natale, fa il contratto per l’anno successivo e poi ricambia, l’anno dopo ancora, nello stesso periodo dell’anno. Una cosa ridicola”.
Un orologio solare, più che stagionale.
“Una mancanza di idee penosa. Le squadre rispecchiano questa mancanza di personalità, rispetto per il gioco. Giocano tutte alla stessa maniera, in modo tecnicamente banale”, dice, deciso, Valerio Bianchini.
Perché uno bravo come te, non è mai stato sul punto di andare a Milano?
“Ero sul punto di andare, in estate, preso da Caputo e dal papà di Kobe Bryant (Joe). Nella stessa estate i due litigarono e la squadra era senza fondi e lasciai la squadra l’ottobre successivo. Sono milanese, ma la mia carriera è sempre stata fuori Milano. Bergamo, Brughiero, Roma, Cantù, Pesaro. Uno dei più grandi errori della mia vita: Milano si è vendicata di me!”, chiosa, ironico, il Vate.
Quanto è stato difficile, da tecnico, affrontare Peterson?
“Con lui ho avuto un discreto successo. Ho perso a Roma, con la Stella Azzurra: loro erano più bravi di noi. A Cantù, con una squadra di livello diverso, buttammo fuori Milano alle semifinali, per due anni di fila. Alla fine anche con Roma ho preso le mie soddisfazioni contro Milano, fino alla Nazionale. Lui non c’era però, perché arrivai a Pesaro contro Casalini, che era il suo alter ego”.
Nel 1987…
“Nel 1987-88”.
L’augurio più bello che vuoi fare a Dan, oggi, da amico?
“Di continuare per tanti, tanti anni, ancora a dire, “Mamma, butta la pasta!”.
L’intervista è andata in onda nella puntata di “Sport Academy”
del 9 gennaio, ed è stata elaborata da Giulio Dionisi