Riccardo Gaucci, dallo scudetto vinto a Perugia (Calcio a 5) in…Autogestione al Pallone d’Oro, passando per la Floriana, Malta
Con la sincerità tipica della dinastia di appartenenza è intervenuto il primo presidente-giocatore del Calcio a 5: che per vincere uno scudetto esonerò il tecnico nell’intervallo, sotto per 0 a 3: vincendo ai tiri di rigore contro la Roma Futsal!
Non parlava da qualche tempo, uno degli eredi di una delle ultime famiglie capaci di guidare realtà e atleti importanti, a livello nazionale e oltre i confini del bistrattato movimento sportivo italiano. Riccardo Gaucci è stato ospite pregiato dell’apertura di “Sport Academy”, mercoledì pomeriggio. Ecco i diversi contenuti espressi in diretta nel collegamento da Malta, dove ha preso la società Floriana, destinata alla chiusura, e l’ha riportata ai fasti costruiti in precedenza, sul territorio di un paese vicinissimo a noi.
Ospite di caratura internazionale ma soprattutto innamorato dello sport. Riccardo Gaucci, bentrovato! Ti dobbiamo chiamare presidente, capitano ed allenatore? Poi entriamo nel dettaglio…
“No, no, mi dovete chiamare Riccardo e basta”.
Avrai visto i primi tre nomi, del Pallone d’Oro: Mbappe, Varane e Modric. Fuori per la rpima volta, in 11 anni, Ronaldo e Messi.
“Sarebbe anche giusto, che lo vincesse qualcun altro, questo premio. Vero che Cristiano è un giocatore fuori dal comune, ma questo è il mio pensiero”.
Non ti difetta certo la sincerità. Secondo il tuo pensiero, tu che conosci bene il Calcio a 5 e hai molti ammiratori, come ho visto su un post di Facebook, chi potrebbe essere il dopo Menichelli, come CT dell’Italia di Futsal?
“Ce l’ho avuto come allenatore e dobbiamo dare atto alla meritocrazia, di quello ottenuto sul campo. Posso fare solo un nome: Colini. Ho visto come lavora, ha vinto tutto quello che c’è da vincere, in ambito nazionale ed internazionale. Giusto e doveroso, affidare la Nazionale a chi la merita, poi non spettano a me le scelte, ma io sceglierei lui”.
Un allenatore pignolo, esigente, maniacale, giusto. Com’è?
“I risultati parlano per lui. Ha vinto non si sa quanti campionati, la Coppa Campioni, non si sa quante Coppe Italia. Quando uno è vincente, è vincente e meriterebbe questo sogno, anche personale. Non ci parlo da tempo, ma penso sia giusto fare il suo nome, da parte mia”.
Come giovane seguace delle vicende paterne, hai vissuto due grande società: la Roma, di cui tuo padre è stato esponente, insieme a Dino Viola, e il grande Perugia di quegli anni. Che ricordi hai, della parentesi giallorossa della tua famiglia?
“Ero piccolo, nel 1981,82,83, avevo 6 anni. Mi ricordo, però, la grande gioia per la vittoria dello scudetto e la grande delusione, nella finale di Coppa dei Campioni. Ero nei Distinti e mi si avvicinò un tifoso del Liverpool e mi disse “Non ti preoccupare, la vincerete il prossimo anno”. Questo non è successo. Sentendo le parole di mio padre, è stata una parentesi che gli ha insegnato tanto, soprattutto stando alle spalle di uno dei presidenti più intelligenti della storia del Calcio. Mio padre mi diceva sempre che ha imparato molto, da Viola”.
Anche tu hai imparato da tuo padre, sia come atleta, come mi suggeriscono in tanti, che come valente manager, di quel Perugia di Calcio a 5. In due stagioni ha vissuto due finali scudetto: una persa con la veneta Arzignano ed una vinta, contro la Roma Futsal. Come hai impostato il lavoro, inizialmente?
“Iniziò tutto per gioco. Io giocavo a Calcio, nella Primavera, e smisi per lavoro. Il Calcio mi mancava e, per gioco, creammo questo Perugia, di Calcio a 5. Nel giro di 5 anni, abbiamo fatto la scalata dalla C2, alla Serie A, vincendo campionati e Coppe Italia, delle varie categorie. Dal gioco, si è passati ad una cosa seria, appassionando me, la mia famiglia, i tifosi. Erano in 4500, nella finale scudetto, contro la Roma! Sono state cose che rimarranno nella storia di questo Sport e forse, la finale contro la Roma è stata una delle più belle, della storia di questo Sport. Non l’ho vissuta io personalmente, ma a livello emotivo, a mio modesto parere è così”.
A fine primo tempo, rientrate nello spogliatoio che perdevate 3-0. Cosa è successo? Tu eri giocatore e presidente, ricordiamolo…
“Ci sono state diverse opinioni, tra me e l’allenatore (Ronconi, n.d.r), poi in seguito chiarite. A caldo però, con la tensione, feci un atto clamoroso, che però ha dato la scossa. Mi ricordo ancora gli sguardi di Rogerio e mi chiedevano “ma che fai?”, detta in modo diverso (…). Io ho detto “Pensate a giocare, che recuperiamo la partita e vinciamo lo scudetto”. Ne uscì una squadra trasformata, anche nell’organico, con giocatori che forse non sarebbero mai entrati… In quell’autogestione tutti i giocatori hanno dato il massimo. Da 3-0, a 6-4 per noi, poi un 6 pari finale e alla fine la lotteria dei rigori”.
Quindi per la prima volta, una squadra vince uno scudetto senza allenatore, Ronconi, che si è…accomodato in tribuna…
“La storia è andata così…”, dice Riccardo Gaucci, autore della cornice, del quadro e delle variabili da pennello.
Nel secondo tempo hai giocato gli stessi minuti, o hai gestito più dalla panchina?
“C’è stata un’autogestione di tutta la squadra. C’era la consapevolezza, se uno era stanco, chiedeva il cambio. 2-3 minuti a testa”.
Un atto di responsabilizzazione di tutti?
“Esatto. Lo scossone era obiettivamente forte, in quei momenti: quando sei chiuso in un angolo a prendere cazzotti, o prendi quello che ti manda al tappeto, o ti giri e li cominci a dare te”.
Un altro episodio, legato in maniera indissolubile, alla grande famiglia Gaucci, è quel Perugia-Juventus, con i tifosi della Lazio a benedire la pioggia, del “Renato Curi”.
“Più che benedire la pioggia, i tifosi della Lazio dovrebbero benedire mio padre! Ho vissuto personalmente quei giorni ed i giocatori e Mazzone erano infuriati. Il Perugia era salvo ed eravamo comunque in ritiro. Mio padre, nonostante le pressioni da Roma (…), fece concentrare la squadra e finì come tutti sappiamo. E il meteo ci ha dato una mano, anzi ha dato una mano alla Lazio…”.
Se dovessimo riscrivere l’almanacco del Calcio a 5, mettiamo Riccardo Gaucci come allenatore, di quello scudetto?
“No, no, va dato merito alla squadra. Ed all’allenatore. Tranne quel disguido, gli va dato merito della stagione e delle partite precedenti. In quel momento c’è stato uno scossone”.
Ma quindi c’erano altri motivi, se il vaso si è riempito? Qui esce fuori una gran dose di signorilità di cui è capace, il popolare erede del focoso Luciano, e dice:
“Sono passati tanti anni, ormai è andata così…”, scansando l’umana tentazione di approfondire il tutto.
“C’erano state delle voci in precedenza – prosegue – e il 3-0 ha peggiorato il tutto…”. Amen.
Tuo padre è sempre stato un talent scout…
“Non solo lui, ma anche noi, con il Calcio a 5. Tanti, i buoni giocatori portati in quel Perugia: ricordiamo anche Rogerio, purtroppo scomparso. Nel nostro piccolo eravamo una famiglia tosta”.
Abbiamo parlato, con Anellucci, ex procuratore ma soprattutto scopritore di Cavani, di quando tuo padre prese Materazzi, che Roma e Lazio si persero. La Lazio disse che non era da serie A, da Lazio; e la Roma non volle spendere 15 milioni di Lire, da dare al Tor di Quinto. Con Liverani e Nakata rappresentano la triade di talenti scoperti in senso assoluto?
“Ce ne sono tanti: Baiocco, Blasi, Rapaic, Mascara. Una miriade, di tutti i tipi, cinesi, giapponesi, coreani. Il mercato era aperto e si faceva così, si cercava in tutti i paesi. Anche a Malta, possiamo fare così, possiamo tesserare quanti extracomunitari vogliamo. Il nostro difensore centrale palestinese, ricorda Reazei, dei tempi di Perugia. Mi è rimasto in mente quello che si faceva a Perugia”.
Ti salutano da Torre Alfina: Romolo Troiani e signora, da Riccardo, da Gianni Fasciano, da Ilario.
“Torre Alfina è un posto pieno di ricordi, per la mia famiglia. Abbiamo vissuto li tantissimi anni bellissimi e ricordi meravigliosi”.
Come ti venne l’idea di cimentarti, con il campionato di Malta e la sua dimensione europea?
“Dopo Perugia non volevo mettere la testa nel Calcio e nemmeno nel Calcio a 5. E’ passato qualche anno. Dopo la voglia è tornata e ho conosciuto il segretario generale della federazione maltese, che mi ha introdotto qui e si è creata l’opportunità del Floriana. Dal fallimento l’abbiamo portata ai preliminari di Europa League, vincendo la coppa nazionale maltese e una supercoppa”.
Il rapporto esterno al Calcio: come vi siete confrontati, con un carattere forte ma sensibile, come quello di Luciano?
Qui il discorso si fa toccante, profondo: “Purtroppo da diversi anni soffre di una malattia, che lo ha portato lontano da tutto. Prima che succedesse questo io avevo un rapporto straordinario; lui ha sempre avuto una velocità di esecuzione mentale 10 anni luce avanti la media. La malattia lo ha condizionato e lo ha portato a prendere decisioni, con tutto quello che poi è successo. Io e mio fratello non ce ne siamo accorti in tempo”.
Umano, schietto fino al midollo, SINCERO. Come ne vorremmo molti, di più. Tanto nel Calcio a Cinque, dove c’è chi offende, senza prove ma come le comari di “faberiana” memoria, il predecessore (senza comprendere, volpino, che un giorno possa toccare a chi sputa per aria…), non sopporta l’informazione “non costruita” o chi pontifica, preferendo i juke-box. Quanto nel Calcio a 11. Dove quelli capaci di identificare dei giovani talenti e farli diventare atleti di Serie A e B, Pantaleo Corvino, Giampiero Guarracino, sono sempre più complicati, da proporre. Meglio gli “yes-men”, da imporre. Uomini cercansi.
(Testo raccolto da Giulio Dionisi: puntata
di Sport Academy del 21 novembre 2018
audio su www.tag24.it Sezione Podcast)