Amnesty International prova a svegliare il mondo su Abu Dhabi. Soprattutto le istituzioni sportive, conniventi, sul silenzio (e massacro) degli innocenti

Si fa finta di niente per degli evidenti, impietosi, osceni interessi economici. Anteposti al bene più prezioso: la tutela della vita. E i diritti civili. Ma lo spettacolo deve far girare la giostra, semplicemente

 

Amnesty International preoccupato per Abu Dhabi e i diritti civili, è intervenuta tramite il suo portavoce, nella puntata odierna di “Sport Academy”, in onda ogni giorno dalle 18 alle 20 su Radio Cusano Campus, l’emittente marconiana dell’UniCusano.

Riccardo Noury la Formula 1, la prossima settimana va a correre ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Un paese, che dal punto di vista dei diritti umani, è salito spesso alla ribalta, per l’omicidio di Jamal Khashoggi. La posizione di Amnesty International è molto interessante, perché sta cercando di sensibilizzare il mondo dello sport, sull’opportunità di competere in questo paese, cercando di far risaltare agli occhi dell’opinione pubblica, la parte oscura, di questa nazione.

“Sono anni che le monarchie sunnite del Golfo, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, usano lo Sport, sia come eventi ospitati sia come organizzazione, per accreditarsi come paesi moderni e nascondere una situazione di diritti umani, brutta. Quando iniziammo a lavorare per eventi sportivi, come il Gran Premio del Bahrein, l’anno dopo la rivolta del 2011, quello che era il boss, della Federazione Internazionale Automobilistica disse: “Ma noi che c’entriamo? Mica siamo le Nazioni Unite, che in ogni posto andiamo a vedere che situazione c’è!”. Noi gli rispondemmo che non erano le Nazioni Unite, ma nemmeno vivevano su Marte: bisogna assumersi le proprie responsabilità.

Prosegue, il racconto del portavoce di Amnesty International: “Questo vale anche per il Gran Premio di Abu Dhabi che si svolgerà in un paese, gli Emirati Arabi Uniti, con una situazione dei diritti umani davvero brutta”.

E nelle altre discipline? La Formula 1 è solo l’ultimo Sport, investito da questa carica di sensibilizzazione. Ricordiamo il Tennis, con il torneo di esibizione, che si terrà a Jeddah, a fine anno. Parteciperanno Nadal e Djokovic”.

C’è dell’altro. “O la Supercoppa Italiana di calcio, tra Juve e Milan, che si sfideranno a gennaio, sempre lì. Sotto un pagamento di 7 milioni di Euro e l’opinione pubblica italiana ha preso voce, in maniera molto responsabilizzante, sui giornali, chiedendo di spostare la località”.

Noury poi afferma: “Mi auguro che si arriverà ad una decisione, che ponga la situazione dei diritti umani come condizione principe. Fossi un atleta sportivo mi porrei un fatto di responsabilità. Sono atleti e società, che hanno un grande potere, sull’opinione pubblica, negativo o positivo, enorme”.

Un esempio di comprovata serietà esiste: “Federer non ha giocato un torneo in Arabia Saudita. Ci dovrebbe essere anche un team che rifiuti di giocare lì. Un pilota potrebbe dire che nel paese in cui sta per correre, i diritti umani vengono violati sistematicamente. Se parla Federer, sull’Arabia Saudita, è più importante di Amnesty International”.

Dal 1968, con Carlos e Smith, passando per Mohammed Ali, lo Sport è sempre stato un volano eccezionale, per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Qual è lo screening che Amnesty International ha fatto, circa il coinvolgimento degli atleti, su queste tematiche?

“All’estero diverse persone ci hanno messo la faccia. Penso a tanti calciatori, che arrivano da zone di conflitto, dai Balcani, con i bosniaci e i kosovari, che prendono più spesso la parola all’estero. Pjanic ha contribuito ad un libro, che ho scritto anche io, sulla Bosnia, dal 1992 al 1995. Però è sempre, come se avessero il freno a mano trattenuto. Come se il calcio o lo sport ed i diritti umani, fossero due cose che non si toccano”.

Quindi un auspicio: “Mi piace pensare che dal 2019, Amnesty International promuoverà un premio sui diritti umani e mi piace pensare che Pietro Aradori, cestista di Virtus Bologna e Nazionale, è un nostro testimonial. Spero di poterti dire, dal prossimo anno, che ci sarà una squadra intera, con noi”.

Gli atleti dovrebbero competere per quel paese ma anche far emergere le contraddizioni, del paese stesso.

“Esatto. Se gli attivisti dei diritti umani degli Emirati Arabi Uniti, per il fatto di chiedere questo, vengono condannati a pene lunghissime e processi iniqui, Hamilton o chi per lui, potrebbe invece tranquillamente dire ciò che pensa. Nessuno, negli Emirati Arabi farebbe nulla, in questo caso, perché gli sportivi famosi, possono muovere opinioni pubbliche. Mi auguro che gli sportivi capiscano, che i diritti umani fanno parte di questo pianeta, non di un altro!”.
Pensi che dietro a questi atleti, possano esserci, case automobilistiche o aziende, che dagli Emirati ricevono soldi come sponsorizzazioni e quindi tutto venga frenato, per questo?

“Non c’è dubbio. Le singole persone possono avere una coscienza o meno, ma intorno a loro ci sono, uffici di comunicazione, imprese e anche i governi dei paesi che ospitano questi eventi. Ne ha parlato la stampa inglese. Dal momento che il Qatar o Emirati Arabi Uniti iniziano a sponsorizzare società di calcio inglese, lo fanno da tempo, può esserci un condizionamento. Anche in Italia”.
All’orizzonte ci sono anche i Mondiali del 2022, in Qatar, dove ci arrivano sporadiche notizie di lutti, per la costruzione di impianti e manodopera a bassissimo costo. Anche qui ci arrivano poche informazioni.

“Se ne parla e non moltissimo, in Italia. Mi capiteranno una ventina di interviste, l’anno, su questo tema. Muoiono centinaia di lavoratori asiatici, che non battono ciglio, perché dalle rimesse di questi lavoratori, dipende l’economia complessiva del loro paese. Un Mondiale che rischia di essere costruito con il sangue di essere umani! La FIFA lo sa ed anche il governo del Qatar. Qualcosa si sta muovendo, ma mancano ancora 4 anni”.

Il testo è stato raccolto da Giulio Dionisi