Le prime documentazioni in cui si evince l’importanza dell’uso del casco sono relative alla cronaca dell’incidente del campione statunitense di ciclismo su pista Harry Elkes, nel 1903. Prima di una gara di mezzofondo, Elkes stava provando la pista del velodromo di Boston, quando cadde e finì con il capo schiacciato dalla ruota di un motociclo di uno stayer che lo stava seguendo. Questo evento fu di grande impatto mediatico, data la popolarità del ciclista e la sua agghiacciante morte e, da questo momento, si iniziò a discutere dell’importanza di indossare un casco protettivo nelle gare velocistiche.
I primi caschi erano copricapo in cuoio morbido, simili a quelli dei pionieri dell’aviazione. Questi furono presto sostituiti da caschi in cuoio rigido, sagomati a “scodella”, con le creste, bordature in cuoio atte ad attutire i colpi. Questi venivano denominato Cromwell, dal celebre condottiero inglese, per la loro somiglianza con degli elmi in uso ai soldati inglesi nel XVII secolo.
Gli incidenti durante le competizioni erano molto frequenti, a causa delle scarse protezioni e ai circuiti d’epoca, e ciò portò gli organizzatori e le autorità a sensibilizzarsi sulla questione della sicurezza dei piloti, finché nel 1992, in occasione della 3ª Coppa d’Inverno (circuito di Montichiari) organizzata dall’associazione studentesca torinese “La Goliarda”, venne imposto per la prima volta in Italia l’obbligo di uso del casco.
Negli anni a seguire inizia una grande evoluzione tecnica dei caschi ad uso motociclistico, sperimentando varie tipologie di imbottitura (sughero, polpa di legno, tela) e l’aggiunta della parte copri-nuca integrata al sottogola.
Negli anni trenta e quaranta si diffusero, ma limitatamente, caschi con calotta in lega leggera ottenuta per stampaggio, particolarmente economici, per poi passare alla fibra vulcanizzata, al poliestere e, infine, alla fibra di vetro (dal 1954). Essendo verniciabili, nacque l’abitudine di colorare i caschi in modo vistoso, in modo che il pubblico potesse riconoscere più facilmente il concorrente nelle gare motociclistiche. Negli anni 50 nacquero i caschi di tipo Jet, con protezioni posteriore e laterali allungate, che prendono spunto dai caschi introdotti dall’aviazione militare statunitense, ma iniziarono a diffondersi negli anni 60, a causa della loro pesantezza e della loro foggia che limitava i movimenti della testa.
Ad oggi i diversi tipi di casco sono:
- Cromwell: rappresenta la tipologia di casco in uso fino agli anni sessanta.
- jeto Aperto: rispetto al casco integrale sono sprovvisti della parte più anteriore della mentoniera, quindi hanno una struttura che si allunga e protegge le guance.
- Demi-jet: casco di tipo simile al jete che rispetto a questo è caratterizzato dall’assenza della protezione delle guance e minore lunghezza nella zona della nuca per offrire una migliore mobilità del capo, a scapito della protezione.
- Integrale: protegge tutta la testa compresa la nuca e presenta una spessa visiera mobile. È la tipologia che offre il più alto grado di protezione.
- Modulare, Crossovero Apribile: sono caschi integrali con la mentoniera che può essere asportata o ribaltata, per ottenere maggiore comodità e ampliare il campo visivo.
- Elettronico: Il Casco Protettivo Elettronico (CPE) è un sistema tecnologico di abbinamento tra il veicolo e il casco. Il conducente non può avviare il ciclomotore se il casco non è correttamente indossato ed allacciato.
Dott. Ing. Valentina Tomei
Assegnista di Ricerca presso Unicusano