Sergio Ragno è una vittima del dovere a cui è stata negata e mai riconosciuta la morte in servizio. Sergio Ragno è un carabiniere scelto, è morto 14 anni fa ma lo è ancora, di sicuro vorrebbe ancora esserlo, perché amava l’Arma come una famiglia. Vittoria Olimpio è la mamma di Sergio Ragno e non si è mai arresa né piegata all’ostruzionismo, alle bugie, ai silenzi insopportabili che l’Arma dei Carabinieri le ha riservato, a lei e alla sua famiglia dalla morte di Sergio in poi: “Hanno torturato la nostra famiglia, non riconoscendo mai la morte in servizio di mio figlio ne hanno calpestato la memoria. Non mi arrenderò fin quando non sarà fatta giustizia e non sarà chiara la verità circa i fatti che portarono alla morte di Sergio in quell’ormai lontano 17 Giugno 2004”.
Radio Cusano Campus ha raccolto lo sfogo della signora Olimpio alla vigilia della seconda udienza del processo iniziato, dopo 14 anni dalla morte di Sergio, lo scorso 10 luglio 2018, nel giorno in cui il giovane carabiniere avrebbe compiuto 38 anni: “Quando Sergio morì mi affidai al primo avvocato che mi segnalarono e non fu in grado di affrontare una questione così delicata. In un secondo momento e grazie al mio attuale legale, l’Avvocato Giulio Murano, abbiamo ottenuto l’apertura del processo e la testimonianza di un collega di mio figlio che ha smentito tutto ciò che l’Arma ha sostenuto fin ora, ovvero che mio figlio non è morto durante un’operazione anti-droga, quindi in servizio”.
Ma quali sono i punti più oscuri della vicenda? La signora Olimpio restituisce un racconto emotivo ma dettagliato dei fatti immediatamente successivi alla morte di Sergio:
“Siamo stati avvertiti del fatto che aveva avuto un brutto incidente ed era grave, saranno state le 18.30 di quel 17 Giugno in cui perse la vita. Manifestammo da subito la nostra volontà di partire da Brindisi per raggiungere Firenze ma ci stopparono. Non partite, ci dissero, aspettate i colleghi che vi accompagnano in macchina. La mia casa in quelle ore era un via vai di carabinieri, ci tenevano buoni in attesa dell’arrivo dei colleghi che ci avrebbero portati a Firenze. Alle 21.30 finalmente ci mettemmo in macchina e iniziammo un viaggio ad andatura lentissima, insostenibile. Ricordo che chiesi di accelerare e mi fu risposto che sarebbe stato inutile, che saremmo giunti a Firenze solo la mattina successiva”.
Perché prendere tempo in questo modo signora Olimpio?
“Per sistemare le loro cose, noi abbiamo trovato la 24ore di mio figlio spaccata e successivamente sistemata con del nastro adesivo, ci dissero che cercavano la pistola ma mio figlio la pistola ce l’aveva con sé perché era in servizio quando è morto. Altro elemento strano, a dire poco, è la versione che ci diedero rispetto alla sua morte, che ci dissero fosse avvenuta sul colpo. Dalle testimonianze dei colleghi di Sergio abbiamo saputo che dopo l’incidente ha tenuto gli occhi aperti per almeno 20 minuti, forse mezz’ora, in ogni caso non era deceduto immediatamente a seguito dell’impatto avvenuto tra la sua moto e la Fiat Panda che lo aveva centrato. Un superiore di mio figlio mi disse che non c’era stato bisogno di fare l’autopsia proprio perché era morto sul colpo ma non avevano il diritto di decidere per me, era mio figlio e avrei dovuto scegliere io se fare o meno l’autopsia”.
Conosce il caso del carabiniere Riccardo Casamassima?
“Riccardo l’ho conosciuto e mi ha raccontato di aver incontrato Sergio al corso di formazione iniziale, mi ha detto che era un ragazzo d’oro. Non mi spiego perché l’Arma lo stia torturando come ha fatto per 14 anni con noi. È un padre di famiglia e non può pagare solo per aver detto una verità che poi possono conoscere solo loro. Io credo a Riccardo”.
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