Li chiamano Gigger o Gig Woker. Chi sono? Coloro che per arrontondare lo stipendio fanno lavoretti come il “pony express”, addetti alle pulizie, babysitter, badanti, ecc. Di conseguenza, si parla di Gig Economy ovvero l’economia dei lavoretti.

La Gig Economy coinvolge tra i 600 e i 750mila lavoratori in Italia. Tra i gig worker il 18% ha un diploma di liceo, il 10% una laurea triennale, il 14% una magistrale e il 6% un master o addirittura il dottorato di ricerca, secondo la Fondazione Debenedetti.

Da un’indagine Istat emerge, inoltre, come in Italia sia molto forte il divario tra studi fatti e lavoro, tra le conoscenze e la pratica. L’Istat, focalizzandosi sui lavoratori laureati di età compresa tra i 25 e i 34 anni e sui diplomati di età compresa tra i 20 e i 24 anni rivela:

  • la presenza di 437mila giovani con un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto per svolgere il lavoro per il quale sono stati assunti.
  • per i diplomati, la sovraistruzione è più marcata tra gli uomini (riguarda il 24% dei maschi contro il 9% delle femmine).
  • per i laureati, al contrario, il 30,5% delle laureate è iperqualificato rispetto al 20,1% dei maschi.

C’è poi una mancata corrispondenza laddove:

il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi. Questo disallineamento nelle qualifiche e nelle competenze è un aspetto chiave della situazione strutturale dell’economia italiana”- Stefano Scarpetta, capo della direzione Lavoro dell’Ocse.

Gig Economy in Italia

Il termine “gig” non è nuovo, coniato nel 2009 ed estesosi nel 2015, indica un incarico temporaneo in americano informale. La Gig Economy è un modello economico molto diffuco oggi, soprattutto nei contesti in cui non ci sono più le prestazioni continuative o a tempo indetermianto. Si lavora on demand, ovvero a richiesta. Esistono anche app e paittaforme per queste attvità da freelance  (Airbnb, Deliveroo e Foodora, Etsy, Uber). Tuttavia, il dato più scioccante emerge dal  Rapporto Coop2017:

Il 27% degli italiani che hanno un impiego a tempo pieno o indeterminato, svolge anche altri lavoretti per arrotondare il proprio reddito. E tra questi, il 41% tramite app o piattaforme on line. (Redattore Sociale)