Chiara Lai e Stefano Sbarra, Amore nato sul campo di Pallacanestro
Il più bel tiro da tre punti: il matrimonio tra due grandi innamorati del Basket
La notizia più bella è che Stefano Sbarra, autore dei due tiri liberi decisivi nella finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona, nel 1984, si sposi con Chiara Lai.
Lei è una brava playmaker e guardia che ha giocato iniziando nel vivaio del San Raffaele Roma: passa poi, giovanissima, alle Stelle Marine Ostia. E con il club lidense, al primo tentativo, nella squadra delle Allieve, vince uno scudetto giovanile, che rappresenta un grande traguardo, per la compagine capitolina. Lei convince i tecnici della prima squadra, ed esordisce in serie A2, categoria in cui giocherà x 7 anni.
Poi un serio quanto grave infortunio a un ginocchio, che la tiene lontana dai parquet e dalle palestre per due anni. Quando riprende, in serie C, guida il Basket Primavalle da play e sarà, x due anni, la grintosa capitana della squadra di Roma Nord.
Pronta per un torneo nazionale, per la costanza di rendimento, per l’impegno, per la tenacia espressa, torna a giocare a pallacanestro in Serie B; prima con il Gruppo Sportivo Fox, creatura societaria organizzata da Cesare Viani, poi con la Flyers Ciampino quindi a Guidonia. Infine approda alla Stella Azzurra, storica realtà di Roma nel maschile. La squadra femminile gioca in B, è allenata da Stefano Sbarra, e con Chiara è il playmaker titolare e la capitana, e quel gruppo vincerà il campionato. Poi la Stella Azzurra avrebbe rinunciato alla A2 meritata sul campo. Ma questa è un’altra storia.
“Sì, è una bella notizia – dice il giocatore della migliore espressione di sempre della pallacanestro romana e laziale -. E’ una cosa che volevamo e che finalmente siamo riusciti a portare a compimento. A breve tra pochi giorni (il 25 luglio, n.d.r.) ci sarà questo evento”.
Possiamo dire che oltre alla vostra umanità, oltre alla vostra sensibilità, questa stupenda cosa è avvenuta per merito della Pallacanestro?
“Certamente. Senza la pallacanestro non ci saremmo conosciuti, come spesso accade, quando si hanno le stesse passioni, la stessa voglia di giocare, di mettersi in campo e confrontarsi ti porta anche a conoscere persone che ti sono molto vicine. Sicuramente il Basket ha detto la sua”.
Sia le famiglie che tanti addetti ai lavori dicono, della società in cui lavorate da istruttori, tu e Chiara, che è un club, La Salle, dalle idee chiare…
“Sì, è una società che ha avuto una società con trascorso importanti, poi come succede ha avuto anni bui. Ora con i piedi per terra, con tanta umiltà, stiamo provando a riportarla a buoni livelli. Ci teniamo che ci siano ragazzi che si divertano, che facciano lo Sport in completa serenità, e poi togliersi qualche soddisfazione. Abbiamo ragazzini e ragazzini convocati per l’addestramento tecnico regionale nel Lazio. Se consideriamo che questa società quattro-cinque anni fa, era ripartita da zero. Abbiamo ricominciato con squadre federali, vedi la Serie D, l’Under 20, l’Under 16: abbiamo tutte le categorie MiniBasket. E qualche ragazzino e ragazzina stanno tirando fuori la testa ed è motivo di orgoglio. Significa che lavorare bene ripaga dei sacrifici”.
Torniamo tramite il Basket a parlare della questione personale: tra i tuoi antichi compagni nel Bancoroma, come hanno preso la notizia del matrimonio?
“Mah – dice sorridendo – ovviamente i più stretti amici che conosco e che frequento tuttora, Enrico (Gilardi), Fulvio (Polesello) sono andati sull’ironico, dicendo: “Ma che fai ce ricaschi?”, e scoppia a ridere, “le solite battute che si fanno”.
Ma tu Enrico lo chiami Consigliere (FIP Lazio), Enrico?
“Enrico oltre a essere stato un grande amico, con Fulvio, sono stati fratelli maggiori che all’epoca mi davano sostegno, manforte, mi aiutavano nei momenti difficili, considerato che qualche annetto di me ce l’hanno, e io, in quel periodo storico del Bancoroma, ero molto giovane”.
E davanti avevi Larry Wright. Ma tu eri sempre pronto. Io ricordo bene le partite: tu entravi ma non è che avessi bisogno di qualche secondo o minuto in più, per capire cosa stesse accadendo, in giro per il campo.
“Io ero pronto perché comunque venivo già da tre anni di Serie A, con il buon Asteo io esordì nella Lazio: feci due campionati di Serie A, uno di A1 e uno di A2, e un altro col Bancoroma in A1 da playmaker titolare. Quindi diciamo che quando arrivò Larry Wright io sì, ero giovane, ma qualcosa già avevo fatto. E devo dire che la bravura di Bianchini, sia dialettica sia anche nell’utilizzarmi nei momenti giusti, è stata, prima di tutto, quella di convincermi a restare; e poi a essere quel giocatore che, quando entrava in campo, doveva rompere gli equilibri, fare qualcosa di più. Qualcosa che quelli che stavano in campo, in quel momento, non stavano facendo”.
Tu hai avuto due grandissimi uomini e allenatori del calibro
Sei stato anche con De Sisti, se non ricordo male?
“Sì, è stato l’anno in cui abbiamo vinto la Coppa Korac, ed è stato l’anno più importante, per me, al Bancoroma. La mia migliore stagione, al punto che venni convocato in Nazionale, dove nel frattempo, da capo allenatore, era arrivato Bianchini”.
Tolta la costanza di Antonello Riva non era il periodo più facile, per essere chiamati in azzurro. Perché quella Nazionale veniva dal trionfo europeo del 1983, dal 5° posto di Los Angeles con l’addio di Meneghin. Non era un periodo semplice, vestire l’azzurro. Sbarra dice, convinto: “C’erano ancora i Marzorati, i Brunamonti, non era una cosa semplicissima”.
Poi hai fatto 7 anni a Napoli.
“Nel 1987 c’è stata una piccola rivoluzione, nel Bancoroma, con Guerrieri che volle mandare via Gilardi e Sbarra e prendendo altri giocatori. Prendendo Teso, Della Valle, il ritorno di Wright, che tornò su scelta di Guerrieri”.
Tu hai avuto modo di rivederlo, il preside della scuola di Monroe, il Professor Wright?
“E’ stato a Roma un paio di occasioni e siamo stati insieme: ci fu un invito al Comune di Roma, in Campidoglio, poi avevamo provato a coinvolgerlo quando ci sono stati i festeggiamenti del trentennale dello scudetto ma lui era impegnato negli Stati Uniti. Ci siamo anche scritti qualche volta per e-mail ma siamo – dice col sorriso – lontani. In Italia capita raramente”.
Ripensando al percorso, ci rifletti che per Roma quanto avete fatto è rimasta una cosa unica. Da una parte purtroppo, dall’altra è talmente importante dall’altra è rimasta una pietra miliare. Tanta roba, direbbero a Milano.
“In quel momento lì penso…beh, abbiamo fatto qualcosa veramente di storico, se la gente ti saluta e ti dice che dopo 30 anni, ti veniva a vedere. Soprattutto frequentando ora i campi di basket”.
Capita che siano genitori che vengano a portare i loro figli, che siano vostri avversari o che giochino da voi…
“Sì, capitano cose molto piacevoli. L’altro giorno mi è capitato mente ero alle Poste: ho una cosa per te, assolutamente te la devo dare. E’ andato a casa, e mi ha portato un album fotografico. Cose che ti stupiscono: sai, non è che stiamo parlando di Calcio. Stiamo parlando di Basket e sapere che c’è gente che si ricorda o addirittura ti riconosce per strada, nonostante i capelli bianchi si ricordi, fa piacere”.
E il fatto che tu non sia un opinionista televisivo e non appaia con frequenza sui mezzi di informazione.
“Infatti”.
Voi lavorate in palestra molto duramente, sui ragazzi.
“Un’altra cosa molto piacevole è che con la Nazionale Over con cui io vado a fare i Campionati Master, rivedo tutti ex giocatori di tutta Italia oltre a quelli stranieri: ma la cosa che mi piace molto è che, in Italia gli altri giocatori si ricordano molto di quello che abbiamo fatto a Roma. Noi spesso e volentieri, da buoni romani, sottovalutiamo quello che facciamo”.
Sì ma abbiamo buona memoria, qui, eh?! Avete fatto qualcosa di unico.
“Gli altri si ricordano tutto, si ricordano i giocatori. E’ bello, questo fatto, che nel resto d’Italia, la gente si ricordi di Roma. Magari a Bologna, a Milano, sono abituati a ben altri numeri, no?!, come scudetti”
Anche come successi europei!
Sbarra prosegue nel racconto: ““Però quello di Roma è piacevole, è bello sapere, che tanta gente se lo ricordi. Io mi ricordo, avete fatto un’impresa, una grande cosa, ci dicono”.
Ne avete infilate in realtà tre, di imprese, una attaccata all’altra, dallo scudetto alla Coppa Campioni fino al Trofeo William Jones, la Coppa Intercontinentale.
Possiamo dire, senza fare accostamenti ad altre discipline, che la Pallacanestro rappresenti un pianeta a parte? Perché io non ho mai sentito, per esempio, il tuo ex allenatore, Valerio Bianchini, Dan Peterson, Dino Meneghin, Pierluigi Marzorati, che abbiamo di recente intervistato, Antonello Riva, o lo stesso Brumamonti, mettere una parola fuori posto. Un ambiente che è un po’ una campana di vetro.
“Mah, sicuramente il Basket è un altro modo di vedere e intendere lo Sport, anche se c’è agonismo, c’è rivalità. Però nasce in un mondo e un ambiente certamente più tranquillo. C’è molto più rispetto”.
Come il tuo carissimo amico Fulvio Polesello, so che rischio di innescare un derby, rispetto a te che eri della Stella Azzurra, anche io venivo dalla Vis Nova. Erano i due serbatoi della Pallacanestro Virtus BancoRoma. Oggi però le società a Roma sono un po’ più frammentate, ci sono tante realtà.
“Sì”.
Visto che il figlio di un nostro amico, Lillo Tambone, playmaker storico della Leonina, è riuscito, giovanissimo come eri tu, ad arrivare e giocare in Serie A, nella Pallacanestro Varese. Oggi a Roma e nel Lazio, credi che oltre ai numeri, tu che la regione l’hai girato tutto, e in diverse categorie, abbia ancora i numeri, per farsi rispettare, nei campionati assoluti?
Secondo me a Roma e nel Lazio c’è poca disponibilità a collaborare: ognuno vuole fare nel proprio orto. Nel senso che quando noi eravamo nelle giovanili, si tendeva a mandare magari i migliori in una unica società, che poteva essere punto di riferimento. Tipo la Lazio, il Basket Roma, che avevano le giovanili più forti. Negli anni a seguire è venuto fuori il BancodiRoma. Tutte cose che succedevano in passato. Adesso è un po’ più difficile: e quindi c’è questa situazione in cui tutte le società cercano di fare tutto troppo da sole. Il reclutamento spesso deve essere fatto fuori Roma o, addirittura, si fa molto all’estero quindi è un po’ un problema”.
Ma chissà, tuttavia, che con la tenacia tua, di Chiara, di altri istruttori in gamba come voi, tecnici validi, non si riesca a seminare una serie di rapporti con altri club. Rompendo quest’antica muraglia mentale che c’è a Roma, di pensare solo al proprio orticello. E questo è il grande limite del rapporto tra le società e la scuola.
Per un attimo, Stefano, metto da parte sia quel giovanissimo radiocronista che sono stato, sia, non degnamente, vostro collega giocatore, rispetto alla tua e alla vostra bravura, e ti faccio gli auguri, anche a nome di Radio Cusano Campus. per il matrimonio tuo e di Chiara Lai, e vi auguriamo tutta la felicità del pianeta.
Grazie. Ti ringrazio e ti saluto e spero di sentirti presto.
“Congratulazioni, davvero. Grazie Mille”.