Rubin Carter simbolo degli uomini liberi
e Campione del Mondo per il World Boxing Council dei Pesi medi
Ha ispirato libri e canzoni tra le quali “Hurricane” di Bob Dylan, che ne professò l’innocenza
Rubin Carter, detto Hurricane, è stato un pugile statunitense naturalizzato canadese. E’ passato alla storia per aver subìto una clamorosa ingiustizia nei tribunali a stelle e strisce.
La sua vicenda non solo ha incoraggiato un grandissimo autore e menestrello qual è Robert Zimmermann, al secolo Bob Dylan, a scrivere una meravigliosa canzone di ribellione, tesa a rivendicare l’innocenza del detenuto Carter; ma anche il film del 1999 Il Grido dell’Innocenza con un incisivo quanto efficace Denzel Washington. Ovvio che la colonna sonora sia quella del giovanotto di 75 anni che da poco ha ricevuto il Premio Nobel.
Anche The Roots dedicarono un brano al pugile afroamericano, insieme ai Common e ai Mos Def.
Nasce a Clifton nel 1937 e cresce nella vicina città di Patterson, sempre nell’area del New Jersey. Nella famiglia erano addirittura in sette fratelli e Rubin fu da subito il più problematico.
Dopo i 14 anni frequentò il riformatorio per aggressione e furto. A 17 scappa dal riformatorio e si arruola nell’esercito americano. Siamo nel 1954 e l’addestramento si svolge a Fort Jackson, nella Carolina del Sud, non propriamente uno stato tenero, dal punto di vista dell’integrazione. Anche da soldato quello che sarebbe diventato Hurricane, l’Uragano, non era mansueto e si presenta, diciamo in maniera poco spontanea, dinnanzi alla corte marziale per quattro volte. La sua carriera militare dura 21 mesi e nel 1956 l’esercito lo congeda.
Quando torna a casa, nel New Jersey, viene arrestato per 10 mesi per la precedente fuga dal riformatorio. Esce e per una serie di crimini rifinisce in carcere, stavolta per 4 anni. In questo periodo Rubin medita la sua carriera da pugile e nel 1961 diventa professionista.
Peso medio, un po’ basso, per la categoria (1 metro e 73 centimetri) ma molto aggressivo sul ring e potente con i colpi. Da qui il suo soprannome Hurricane. Nel 1963 venne inserito nella top 10 di sfidanti per il titolo dei Pesi Medi da “Ring Magazine”, illustre rivista americana dedicata ai combattenti del quadrato.
Nello stesso anno vince contro Emile Griffith, quello al quale avrebbe tolto il titolo mondiale il nostro pugile Nino Benvenuti. Ebbene: Carter manda Griffith giù due volte, al primo round.
Nel 1964 combatte contro Joey Giardello: Carter parte bene ma poi crolla e perde sui 15 round ai punti. Da qui inizia il suo declino. In assoluto vinse 27 incontri e ne perse 12 con un pareggio.
Nel 1993 prende la cintura di campione del mondo dal World Boxing Council. La fama di Hurricane è, purtroppo, legata ad altri fatti, a episodi extra-ring. Nel 1966, a Patterson, due uomini entrano in un grill-bar e sparano uccidendo tre persone e ferendone una. Tra i testimoni c’era Alfred Bello, noto criminale della città. Altri riconobbero la macchina come quella di Carter. Tra l’altro nella macchina di Rubin c’era una pistola dello stesso calibro di quella incriminata. I testimoni non riconobbero però lui e il suo complice. Durante il primo processo Bello e un suo amico riconobbero Hurricane e il complice come gli assassini. A questo punto le prove bastarono per l’ergastolo.
Nella sua biografia, scritta nel 1974, Rubin “Hurricane” Carter scrisse di essere innocente: venne fatto un altro processo ma venne confermata la colpevolezza. Nel 1985 c’è stato l’appello alla Corte Federale e nel 1988 lui e l’improbabile complice furono prosciolti.
Oramai il tempo perso tra le mura, ristrette, di un carcere, non poteva più renderlo nessuno, ai due malcapitati, ma almeno tornava in libertà. Dimostrò una grande forza d’animo e mentale, Carter, capace di riconoscere, per il resto, gli altri errori commessi.
Errori in parte rimessi a posto da una Laurea Honoris Causa in Legge consegnata a Rubin Carter dall’Università di New York: una seconda sarebbe arrivata dall’Università di Toronto, città che lo ha adottato dal 1988: ha preso una fattoria poco fuori città, nella stupenda zona dell’Ontario. E un terzo riconoscimento è arrivato dalla Griffith University of Brisbane, Australia (?), grazie al lavoro svolto per l’ADWC. Che è l’Associazione per la Difesa dei Condannati per Errore. Con questa specifica realtà ha operato da motivatore dal 1993 al 2005, per ben 12 anni.
Da ricordare una preziosa opera letteraria, The Sixteenth Round: da Numero 1 a detenuto 45472, scritta nel 1974, l’anno della canzone di Bob Dylan, per un movimento spontaneo civico che si radunò intorno ad Hurricane.
Ma va ricordato che nel 1996 Rubin Carter, tra lo stupore assoluto di un’America disattenta e male organizzata, fu arrestato nuovamente ma scagionato, per scambio di persona. Chissà, se anche nel 1966, 30 anni prima, successe la stessa cosa.