Disoccupazione scuola, è caos tra Inps e Mef e a farne le spese sono gli insegnanti precari che, oltre alla traumatica perdita annuale del lavoro (i più fortunati ripartiranno a settembre con un contratto fino al prossimo giugno), dovranno fare i conti con l’impossibilità di accedere agli ammortizzatori sociali.
Dopo quello di due settimane fa degli studenti universitari in protesta contro i metodi per accedere alle graduatorie di insegnamento, ora a mobilitarsi sono quelli che un posto di lavoro lo hanno avuto, ma non gli è stato ancora riconosciuto. E così dopodomani ci sarà un nuovo presidio davanti all’Ufficio scolastico regionale (Usr) di Bologna.
Questa volta tocca agli insegnanti precari rimasti senza il sussidio di disoccupazione (Naspi) a cui avrebbero diritto sulla base delle ore di lavoro svolte. Il motivo? Pare sia una questione burocratica legata al nuovo sistema informatico che calcola i contributi di ogni lavoratore. Infatti, da quest’anno è il ministero delle Finanze che deve trasmettere una comunicazione automatica e telematica all’Inps dei singoli contributi versati da ogni insegnante. Ma l’Ente di previdenza dice di non aver ricevuto niente e rimanda al ministero.
Il tira e molla va avanti da fine giugno: l’Inps aveva dichiarato nelle scorse settimane, a seguito delle richieste di chiarimento degli insegnanti, che sarebbe stata diramata una circolare agli uffici regionali affinché’, in caso di dubbi sulle singole domande Naspi, venisse accettata la documentazione ‘classica’ presentata dai lavoratori (contratto e cedolini).
Attualmente però, questa procedura è attiva solo in Campania e Veneto, mentre gli uffici di Bologna non hanno ancora notificato nulla ai ‘precari in attesa’. In tutto questo, “l’Ufficio Scolastico rimane in silenzio”, lamenta il coordinamento insegnanti precari del territorio. “Abbiamo chiesto più volte un incontro al direttore dell’Ufficio, senza ricevere risposta”. E così si va in piazza: “Le lungaggini burocratiche o i problemi tecnici nelle comunicazioni tra uffici pubblici non possono privarci dei nostri diritti”.
(fonte DIRE)