Dražen Petrović il Mozart dei Canestri
Dalla Jugoslavia alla Croazia via America
Ci sono stati atleti che hanno legato tra loro, nonostante facessero parte di due paesi in guerra, convinti che la competizione sportiva fosse la cosa più importante, in quel momento.
Altri, viceversa, da compagni di squadra, si sono divisi per ragioni politiche, fino a diventare nemici. Dražen Petroviċ e Vlade Divac sono stati inseparabili fino al 1990, quando hanno smesso di parlarsi all’alba della guerra civile in Jugoslavia. Il litigio con Divac è ciò per cui ricordiamo Petroviċ, se non prendiamo in considerazione i risultati sportivi.
Si tratta di una vicenda triste, resa ancora più triste dall’incidente d’auto in cui Drazen perse la vita a soli 28 anni. I due non si riconcilieranno mai più. Anche se dopo la morte dell’ex amico, Divac andrà dalla madre di Petroviċ a chiederle, con successo, di riallacciare i rapporti.
Dražen Petroviċ è stato un cestista jugoslavo e poi nazionale croato. Fosse nato negli Anni Novanta avremmo detto solo croato, invece Petroviċ a Sebenico, città della Dalmazia un tempo annessa all’Italia, ci è nato il 22 ottobre del 1964. E per questo motivo, oltre che per le sue qualità tecniche, naturalmente, farà parte della nazionale di Basket della Jugoslavia più forte di tutti i tempi.
Una squadra quasi invincibile, formata da giocatori come il poliedrico Toni Kukoč, i centri Dino Radja e Vlade Divac, Arijan Komazec e Drazen Petroviċ, fratello minore di Aza, già giocatore poi allenatore di grande rilievo.
Divac e Petroviċ sono anche compagni di stanza, nonostante le loro diversità caratteriali. Il primo è tutt’altro che meticoloso. L’altro, il Mozart del basket, ha l’ossessione di diventare il migliore ed è cresciuto dividendosi tra la scuola, la palestra e la pallacanestro.
Vlade e Dražen sono le stelle della Jugoslavia che arriva terza ai Mondiali di Spagna del 1986 e agli Europei in Grecia l’anno seguente. Della Jugoslavia che perde contro l’Unione Sovietica la finale olimpica a Seul nel 1988, ma che vince quella dell’Europeo ’89, nell’anno della caduta del muro di Berlino. Le ripercussioni sull’Europa orientale sono tremende e arrivano anche sui campi.
Nel 1990 la Jugoslavia stravince il Mondiale. Durante i festeggiamenti, un tifoso sventola una bandiera con impresso lo scudo bianco-rosso di una Croazia alla ricerca dell’indipendenza: il serbo e ortodosso Divac va a togliergliela in malo modo, il croato e cattolico Petroviċ non si accorge della scena ma la scopre sui giornali. Ed è la fine di un’amicizia, nessuno dei due parlerà più con l’altro.
Petroviċ viene convocato in nazionale perché, tra le altre cose, a 15 anni segna il suo primo punto nella prima divisione jugoslava e a 18 porta il Šibenik a disputare una storica finale di Coppa Koraċ. Per i meno addentri al mondo del Basket la Korac è la terza competizione europea, come la Coppa Uefa nel Calcio.
Nella stagione successiva il Šibenik di Dražen Petroviċ arriverà addirittura a giocarsi il titolo, conquistandolo proprio grazie a due tiri liberi di Petroviċ a tempo scaduto. Il giorno dopo, però, la federazione annullerà il risultato per l’errore dell’arbitro Matijeviċ sulla concessione dei tiri liberi, decidendo per la ripetizione della partita. Una partita che non verrà mai rigiocata per il rifiuto del Šibenik, con conseguente vittoria a tavolino degli sfidanti del Bosna, compagine di Sarajevo.
In campo Petroviċ è un individualista, rapido, fortissimo nei movimenti uno-contro-uno, perfetto nei tiri. Gioca nel ruolo di guardia, ma nasce come play-maker: “il classico killer che potrebbe battere da solo qualsiasi squadra”, per dirla con le parole del famoso giornalista Vladimir Stankoviċ.
Nel 1984 Petroviċ e la Jugoslavia conquistano il bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles. Poi il Mozart dei Balcani si trasferisce al Cibona Zagabria raggiungendo suo fratello Aleksándar, Aza, appunto, già giocatore della squadra nazionale.
Il rendimento di Drazen col suo nuovo club è impressionante. In quattro anni conquista due Coppe dei Campioni, una European Cup (il nuovo nome della Korac), un campionato di Jugoslavia e tre coppe nazionali. E’ la sua media di punti realizzati a partita, che fa stropicciare gli occhi ai suoi sostenitori: 43,3 a gara. Nel campionato 1985-86 ne realizza 112 in un match contro lo Smelt Olimpija, stracciando il record di 74 allora appartenente a Radivoje Koraċ, il giocatore al quale è stata intitolata la Uefa del Basket.
Nel 1988 Petroviċ si trasferisce al Real Madrid con la nomina di miglior giocatore europeo. I dirigenti spagnoli gli offrono un contratto da quattro milioni di dollari l’anno e lui li ripaga con una Coppa delle Coppe e una Coppa del Re. In gara-2 della finale scudetto realizza 8 assist, in gara-4 sigla la bellezza di 42 punti. Nella finale di Coppa delle Coppe ne mette a referto 62 contro la Snaidero Caserta. Nella squadra campana ci sono talenti assoluti quali il brasiliano Oscar Schmidt, l’uomo che fece piangere gli Stati Uniti nella finale dei Giochi Panamericani, e Ferdinando Gentile, playmaker azzurro.
Dopo la medaglia d’oro agli Europei del 1989, Dražen è ormai pronto al grande salto. Va quindi nella NBA: prima a Portland coi Trail Blazers, dove rimane un anno perdendo la finale contro Detroit (1990), insieme al grande Drexler. Poi ai New Jersey Nets. Con quest’ultima squadra si afferma definitivamente anche negli Stati Uniti: alla prima stagione realizza 20,6 punti a partita, l’anno dopo porta la sua media a 23, venendo inserito nel terzo quintetto della lega americana. Un risultato, prima di allora, mai raggiunto da un giocatore europeo in terra statunitense.
Nel 1992 Petroviċ guida la neonata nazionale croata all’argento alle Olimpiadi vinte dal ‘Dream Team’ a Barcellona. La sua ultima partita è una gara del girone qualificazione agli Europei, contro la Polonia. Al termine dell’incontro sceglie di tornare a casa in macchina e non con il resto della squadra. Guida la sua fidanzata, Klara Szalantzy, che tempo dopo sarebbe diventata la moglie di Oliver Bierhoff. Durante il tragitto, in Germania, la macchina arriva a un restringimento della carreggiata, la donna sbaglia il tempo della frenata e la vettura finisce contro un tir. Petroviċ, che dorme sul sedile del passeggero senza aver allacciato la cintura di sicurezza, muore sul colpo. È il 7 giugno del 1993.
I tedeschi non hanno una bara grande a sufficienza per un uomo alto 195 centimetri. E quindi decidono di dissanguarlo per riuscire a farlo entrare in una di dimensioni più piccole. Stojko Vrankoviċ, suo compagno di squadra, quando scopre l’accaduto cerca di strangolare con le sue mani gli autori del gesto. Ci sarebbe anche riuscito, se qualcuno non fosse intervenuto.
Il 7 giugno 2006 ha aperto a Zagabria il Dražen Petroviċ Memorial Center. Tra i tantissimi oggetti esposti ci sono anche la sua maglia numero 3 dei New Jersey Nets e l’orologio indossato al momento dell’incidente, fermatosi al momento dello schianto. Nel 2010 il canale ESPN ha trasmesso Once Brothers, un documentario diretto da Michael Tolajian sul rapporto tra Petroviċ e Divac. Il film si conclude con Divac che Divac che depone sulla tomba di Drazen una foto dei due, ai tempi della Jugoslavia unita.