Yannick Noah, tecnica, grinta, lotte per i diritti civili. Uno mai banale, mai!
E’ stato uno dei più talentuosi tennisti del panorama mondiale: e quando ha dovuto
tirare “ceffoni” sul doping si è esposto, come sempre
Yannick Noah, tennista, allenatore, cantante e perfino consulente psicologico, nasce a Sedan, in Francia, il 18 maggio del 1960. Personaggio e atleta mai banale, come la sua storia, che inizia dall’incontro tra Zacharie Noah, calciatore camerunense, e Marie-Claire Echalier-Perrier, insegnante francese.
Yannick Noah è, infatti, uno dei tanti esponenti di colore di quella che diversi anni dopo verrà chiamata ‘generazione Blanc et Noir’ formata, allegoricamente parlando, dai “figli di Marianne” e dagli eredi del secondo impero coloniale transalpino.
Quella generazione che raggiunse il culmine sociologico-sportivo attraverso le vittorie calcistiche dei Mondiali del 1998 e degli Europei del 2000, trova l’unico grande successo tennistico nel Roland Garros del 1983, quando sulla terra battuta di Parigi, Noah riesce a battere Mats Wilander in tre set, col punteggio di 6-2, 7-5, 7-6.
Diventa il secondo giocatore di colore ad aggiudicarsi un torneo del Grande Slam, dopo lo statunitense Artur Ashe, elemento che, come lui, ha lottato in favore dei diritti civili e contrariamente alle discriminazioni razziali, grazie al megafono mondiale dello sport di livello assoluto.
È quello, il momento più alto della carriera di Yannick. Un percorso iniziato a undici anni, quasi contemporaneamente al suo trasferimento in Francia, dopo l’infanzia trascorsa in Camerun. Dove venne scoperto in una scuola di tennis proprio dal citato Ashe. Noah si fa notare dal grande pubblico vincendo il Wimbledon Juniores nel 1977 e trionfando in altri undici tornei minori nelle quattro stagioni seguenti.
A Palm Springs interrompe la striscia di quarantaquattro vittorie consecutive di colui il quale sarebbe diventato il ‘Terribile’, di lì a qualche anno, tale Ivan Lendl di Ostrava, all’epoca Cecoslovacchia.
Ma è a Parigi che conquista definitivamente gli onori delle prime pagine, collezionando, da testa di serie numero 6, quel Roland Garros che ai tennisti francesi mancava da ben trentasette anni, ovvero dalla vittoria di Marcel Bernard del 1946. “È quello il momento più bello della mia vita, ogni volta che guardo il video della partita mi sento completo. Quel Roland Garros sarà per sempre nel mio cuore”, dirà Yannick, in un’intervista alla CNN nel 2014.
A caratterizzare lo stile di Noah è la fantasia. Aiutato dal suo 1,93 altezza, Yannick si distingue presto per un gioco fisico e spettacolare, con il “colpo alla Noah” come ciliegina sulla torta del suo repertorio. Il francese era solito correre verso la linea di fondo e colpire la palla spalle alla rete, facendosi passare la racchetta tra le gambe. Un gesto inventato qualche anno prima da Guillermo Vilas e rispolverato nel 2009 nientemeno che da Roger Federer, appena tornato il numero 1 al mondo.
Dopo il 1983 Noah trova diverse soddisfazioni nel doppio, specialità nella quale conquista ben 16 titoli, tra i quali il Roland Garros del 1984, vinto assieme al connazionale Henri Leconte. Nel 1986, oltre che la posizione numero 3 nel ranking mondiale, raggiungerà la vetta della classifica del doppio, conservandola per diciannove settimane. Nel singolo, invece, non riuscirà più, a bissare lo storico successo parigino: schiacciato dalla troppa pressione, tenterà, fortunatamente senza riuscirci, addirittura il suicidio. Dirà tempo dopo: “Diventando campione uno impara molte cose, nessuno però ti insegnerà come comportarti in caso di vittoria improvvisa. Della mia vittoria al Roland Garros non mi è rimasta soltanto la gioia più ovvia, quella che segue un successo. Bensì l’istantanea, fulminea coscienza di un percorso vitale, da quando nelle strade sterrate di Yaoundé giocavo a piedi nudi e con una racchetta ricavata da un’asse in legno”.
Negli ultimi anni di carriera vince nove finali, compresa quella degli Internazionali di Roma del 1985, contro Miroslav Mecir. L’ultimo trionfo, il ventitreesimo singolare, è quello sul cemento del Medibank International di Sydney, dove supera Carl-Uwe Steeb con il punteggio di 5-7, 6-3, 6-4.
Yannick Noah si ritira del 1990, a trent’anni, diventando allenatore della nazionale femminile francese. E dedicandosi, allo stesso tempo, alla musica Reggae, vera e propria ancora di salvezza, nel periodo della depressione. La chitarra fu per Noah una terapia che gli permise di uscire dalla logica della competizione e di esprimere i suoi stati d’animo. Tra i suoi brani più famosi, ci sono: Saga Africa del 1991, La voix des sages del 2001,Donne-moi une vie del 2006, Aux arbres citoyens e Destination ailleurs, questi ultimi del 2007.
Nel tennis condurrà la nazionale maschile transalpina alle vittorie in Coppa Davis nel 1991 e nel 1996. L’anno successivo otterrà la Federation Cup alla guida della selezione femminile, mentre nel 2017 si ripeterà, in Coppa Davis, nuovamente con la nazionale maschile. Tra un successo e l’altro, per diverse stagioni occuperà il ruolo di “consulente’ della tennista Amélie Mauresmo. Poi avrebbe lavorato nello staff tecnico della nazionale di Calcio del Camerun.
Inserito nella International Tennis Hall of Fame, Yannick Noah è padre di cinque figli, il primo dei quali, Joakim, concepito con la prima moglie Cècilia Rodhe, gioca a Basket nella NBA con i New Yorks Knicks.
La famiglia è una componente fondamentale della sua vita. Con la madre, scomparsa nel 2012, ha fondato ‘Les Enfants de la Terre’, un’associazione benefica per aiutare i meno fortunati. Ma crudo e fuori dagli schemi è stato anche nel post-carriera. Contro Marine Le Pen e il Front National ha scritto la canzone Ma colère (“La mia rabbia”). Contro il doping ha dichiarato: “Non sopporto la finta verginità di uno sport che copre le vergogne”. Nel 2016 si è scagliato contro Maria Sharapova, trovata positiva al meldonium; qualche anno prima, in seguito all’Operacion Puerto, ha messo in discussione le tante vittorie degli atleti spagnoli, inimicandosi, tra gli altri, Rafa Nadal e Pep Guardiola.
L’ultimo capolavoro sportivo è il già citato trionfo in Coppa Davis dello scorso novembre. Se il trofeo è tornato sotto la Tour Eiffel dopo sedici lunghi anni, molto lo si deve alle scelte di Yannick. L’unico in grado di compattare un gruppo consumato dalle polemiche interne derivate dalla precedente gestione di Arnaud Clement.
Nella finale contro il Belgio ha convocato Gasquet, preferendolo a Mahut, e poi lo ha affiancato a Herbert nonostante i due non avessero mai fatto coppia. “Se avessero perso mi avrebbero tagliato la testa”, ha dichiarato dopo il 3-2 con il quale i transalpini hanno superato i “cugini” belgi. Mai banale, ve lo avevamo già detto.