Valerio Bianchini, costruttore di vittorie con Cantù, Roma e Pesaro: “Queste finali? Un voto positivo”

 

Goudelock è un attaccante sopraffino, degno rappresentante di un basket di eroi, non più di squadra.

A Radio Cusano Campus una mini-lectio magistralis del Vate del Basket d’Italia, ospite di lusso

 

E’ l’uomo che ha guidato Cantù a una Coppa delle Coppe e due Coppe dei Campioni, che ha fatto grande Roma, conquistando l’Europa e il Mondo dopo aver battuto il Billy Milano di Dan Peterson. Poi avrebbe vinto, primo in Italia, lo scudetto in tre piazze diverse, ultima, nell’ordine, la Libertas Scavolini Pesaro. E’ intervenuto a “Sport Academy”, in onda su Radio Cusano Campus ogni giorno dalle 19 alle 20, a cavallo tra gara-5 e gara-6 delle finali scudetto, conteso dall’Emporio Armani Milano e la Dolomiti Energia Trento.

Che idea ti sei fatto, delle finali per lo scudetto? E di gara-5 finita 91-90 per l’Olimpia Milano?

Valerio Bianchini: “La serie è molto bella. Diciamo…ci sono due piani, per valutare la serie. La competitività e quello lì è fortissimo grazie al fatto che ci sono due entità diverse. Da una parte lo strapotere di Milano, con i suoi giocatori poi in campo vanno in 5, e possono ben competere: invece l’animus pugnandi di Trento e la sua qualità di gioco e la qualità dei suoi giocatori. In questa grande competizione, accalorata come edizione, combattuta competizione, in entrambi le parti emergono degli eroi. Perché questo che stiamo vivendo adesso non è più il basket delle squadre ma è un basket dei giocatori, che sta muovendo il basket italiano verso la NBA. Quello stile di pallacanestro che fa poco gioco di squadra ma viene fatto da grandi giocatori”.

Bianchini evidenzia il lato positivo della medaglia: “A merito delle due squadre italiane si sbattono in difesa, e questa è una cosa bella. Raffinata quella di Buscaglia, ma finalmente anche la difesa attenta che Pianigiani è riuscito a impostare nella sua squadra, inizialmente rilutttante a difendere. In questo quadro qui poi c’è il quadro tecnico. Molto puntato a cercare di evitare quello che è del basket di oggi. Dentro l’area non si riesce a giocare Perché? Ci sono le presenze di difensori di grande fisicità, il basket si è completamente trasformato. Avendo portato tutti quegli stranieri, io ne avevo 2 oggi ce ne sono 7, e la maggior parte sono di colore, e la fisicità prevale sulla tecnica”.

L’analisi va sui lunghi, ed è impietosa, a ragion veduta.

“I lunghi, in Italia, che vorrebbero giocare spalle a canestro, non hanno tecnica. Nonostante i due lunghi di Milano siano bravi, e giocano bene, insieme: il grosso lituano di Milano prende la palla in isolamento, e poi testardamente palleggiando sempre di mano destra, poi con la sinistra che ha, una mano dolce e riesce a segnare. E’ la diminutio del basket di oggi. Perché in realtà non c’è nessun sistema per raddoppiare, quel tipo di azione di attacco”.

Il confronto di Coach Bianchini con il basket degli anni ’80: “Io ricordo che il mio principio era che l’uomo che marcava il pivot basso, si metteva a metà strada; e se il pivot iniziava a palleggiare, cercava di portargli via la palla raddoppiando. Se l’avesse passata gli lasciava il dubbio se intervenisse o no, e chiudendo sul tiratore da fuori. Questa cosa non c’p più, adesso: si lascia, l’uno contro uno, adesso. Se uno è bravo, nell’area, diventa pericolosissimo. Ma ora il gioco si sviluppa sul perimetro, o sul pick and roll. E il gioco diventa noiosetto: mi pare di vedere la pallavolo, con tre passaggi e poi vediamo il tiro. Dopo un tentativo non riuscito di entrata c’è il passaggio in in angolo perché i difensori si sono stretti intorno a chi gestisce la seconda palla”.

Questo fa sì che siano troppi, i tiri da 3, con percentuali assurde…

“Bravissimo, esatto – dice il Vate -: i punti alla fine succede che chi penetra becca il muro degli stoppatori; chi prova a entrare è chiuso. E il tiro da 3 risulta non sempre opportuno, e questo mortifica il gioco. Dentro queste finali si sopporta meglio perché difese più aggressive, di transizione, soprattutto da parte di Trento e questo rende il gioco più piacevole. Un voto positivo a queste finali”.

Il movimento che spiegavi in gara-5 lo hanno svolto Tarczewski e Kuzminskas con quel semi-gancio degno del periodo degli anni ’80.

“Certo. Questo avviene perché i difensori sono troppo preoccupati del tiro da 3, e tentano raramente raddoppi sul pivot basso. Oppure il secondo centro una volta raddoppiava dentro l’area. Avranno i loro buoni motivi, per fare queste scelte”.

La fotografia di ieri sera e di un basket moderno è stata quella di un non gigante qual è Goudelock, che ha stoppato, a 1 secondo dalla fine, il più atletico dei giocatori in campo, Sutton!

Bianchini dice: “E’ stato determinante un grado di eccitazione agonistica. Le stature non hanno più significato: sono risultati importanti la tigna, la rabbia, l’agonismo. Goudelock è uno di quelli magari non completi in difesa, ma un attaccante sopraffino. Quello odierno è un basket eroico, di eroi. Non più quello della falange romana che circonda il nemico nella sua compattezza, come quello della guerra di Troia, degli Achei”.

Nelle prime due partite una Milano efficace, imbarazzante nelle seconde, in trasferta. Pianigiani in gara-5 non ha fatto sconti a nessuno. Ha dato anche pochi minuti a Jerrells: la pagnotta se la dovranno guadagnare, se vogliono arrivare a un traguardo comune…

Bianchini dice, con la solita, invidiabile sincerità: “Da una parte è una gran dote, perché quando giochi 7 partite alla fine del campionato devi cercare uno più fresco dell’altro. Dall’altra impegna molto l’allenatore nei dosaggi, e quindi ritarda la realizzazione di una decente amalgama, che non arriva subito. Tanto che abbiamo aspettato marzo, per vedere il gioco di Pianigiani fruttifero cui ci aveva abituato ai tempi di Siena”.

Parliamo, ora, di un successo editoriale firmato a quattro mani, le tue e quelle di Mario Arceri, “La Leggenda del Basket”. Avete riscosso tanti consensi, parlando anche di valutazioni esterne e sociali, rispetto al campo di pallacanestro.

“Ma è stato molti anni fa!?”.

Ma ancora la gente ancora chiede ristampe, copie, mi parla dei vostri spunti. Segno che avete colpito le corde della sensibilità culturale di chi non vuole soltanto ascoltare o leggere questioni riguardanti il campo, il basket giocato.

“Bisogna dire che Mario Arceri è veramente lo storiologo del Basket italiano, un eccellente lavoro che  durato anni e anni, è stato anni capo della Sezione Basket del Corriere dello Sport. Ha raccolto esperienze, documenti, è un formidabile incasellatore di episodi e aneddoti, avvenimenti”.

A quando, il prossimo libro di voi due?

“Intanto ne ho di recente scritto uno con Paolo Viberti, “Le bombe di Bianchini”. Sta andando molto bene. Perché nella Leggenda del Basket c’è dentro un po’ tutto, il basket americano, il basket europeo, le Olimpiadi, concepito dal modo di descrivere il basket con Mario Arceri. Questo è proprio un libro mio, in cui ho messo delle storie umane, moltissimi aneddoti. Larry Wright, Darwin Cook, molti dei miei principi di team-building, di costruzione del team. E’ un libro molto variegato, con dei personaggi che ho incontrato nella mia carriera. Molto incentrato sulla mia esperienza”.