Gino Bartali un cuore grande come la fratellanza

Campione assoluto e nei Giusti dell’Umanità

da Padova a Gerusalemme via Cortona e Assisi

 

Ci sono atleti capaci di compiere autentiche imprese, nella disciplina amata, e ci sono uomini dotati di coraggio. Che sanno esprimere nell’agone, ossia durante le competizioni sportive. Poi ci sono quelli, speciali, che, a seconda dell’ambito in cui operano, la vita come nelle sfide, che sanno coniugare l’affronto alla paura per lottare in favore di cose giuste.

Uno di quei rari esemplari intraprendenti in gara e umanamente affratellati nell’esistenza terrena, è stato di certo Gino Bartali, leggendario ciclista che ha salvate tante vite umane, nel periodo più brutto, della storia d’Italia.

Nato a Ponte a Ema il 18 luglio del 1914, Bartali sarebbe diventato un eroe sia per aver teso la mano in favore degli oppressi, sia per aver macinato tantissimi chilometri da leader, sulle due ruote. La sua carriera agonistica è durata oltre un ventennio, dagli Anni Trenta a dopo il 1950.

E la storia, intesa come materia, non si è sottratta, a un momento molto delicato. Nel 1948 l’attentato a Togliatti rischiava di far scivolare, di nuovo, la nostra nazione in una guerra civile che avrebbe avuto la funzione di prolungare le vicende belliche oltre quanto già accaduto. Bartali vinse il Tour de France, il che allentò di tanto, la tensione che c’era nei ritrovi, i bar, i circoli e i ristoranti, e le strade, nei quali si ascoltava, tramite il mezzo radiofonico, la corsa a tappe transalpina.

Gino inizia come dilettante con il club “Aquila divertente” e nel 1934 vincse la Coppa Bologna, che gli vale il titolo di campione della Toscana. Nel 1945 si iscrisse da indipendente alla Milano-Sanremo. Succede il primo episodio straordinario di un cammino strepitoso: stacca Learco Guerra, leggendario campione di quel periodo, si trova in testa da sconosciuto. Subisce prima un guasto meccanico poi un disturbo creato dal direttore della Gazzetta dello Sport, Emilio Colombo. Ripreso, arrivò 4° nella volata. Ma il ciclismo inizia ad accorgersi di lui.

Tanto che lo ingaggia la società Frejus, con la quale corse il primo Giro d’Italia, finito 7° in classifica con una vittoria di tappa. Finisce la stagione con tre successi: a Barcellona nella Escalada del Parc Montjuich, alla Vuelta del Pais Vasco e ai campionati italiani.

Vince i primi due Giri d’Italia nel 1936, con la casacca della Legnano, capitanata da Learco Guerra. Lui arriva a Milano in rosa qualche giorno prima di perdere il fratello Giulio. Bissa il successo nella corsa rosa nel 1937. Poi, come è capitato a tanti atleti di valore, una volta vinto il Tour de France del 1938, paga dazio all’interruzione delle corse dovuta alla Seconda Guerra Mondiale. Lui aveva cinque anni in più di Fausto Coppi, talento indiscusso, e il loro duellare avrebbe spaccato l’Italia, nel dopoguerra.

Lui aveva ricevuto aiuto da Guerra, quando Learco si accorse della migliore condizione del toscano; Gino avrebbe fatto lo stesso, in favore di Coppi, nel 1940. Quando il piemontese si stava per ritirare per i dolori alle gambe, Bartali gli corse appresso urlando: “Coppi sei un acquaiolo, ricordatelo, solo un acquaiolo”. Ossia un portatore d’acqua, un gregario. Il toscano fece leva sull’orgoglio del campionissimo di Castellania, che reagì al meglio. E arrivò fino in fondo, anche per onorare i grandissimi sacrifici di Gino e della squadra, che si erano messi, in maniera incondizionata, al suo servizio. Dicendogli di tutto. Compresa una frase passata alla storia come questa: “La maglia rosa non mette mai, il piede per terra!”. Aveva ragione Gino Bartali.

L’Italia entrò in guerra, e per i due futuri rivali al quadrato, la carriera rallentò per cinque anni.

Il grande e generoso cuore di Ginettaccio Bartali si sarebbe adoperato in favore della fuga di 800 ebrei perseguitati dai nazifascisti, come è stato comprovato a distanza di anni. Gino faceva parte, da esterno, dell’organizzazione clandestina DELASEM, compiendo diversi viaggi in bicicletta da Cortona ad Assisi. Tutto ciò per portare documenti e foto tessere necessari alla fuga di tanti rifugiati. Sospettato all’epoca di collaborare con gli ebrei e la Santa Sede attraverso ciò che sapeva fare meglio, ossia andare in bicicletta, si nascose da parenti e amici a Città di Castello per oltre cinque mesi.

Passato il conflitto fa suo il terzo Giro, nel 1946, e conquista da dominatore anche il Giro di Svizzera. E nel 1948, a 34 anni, vince ai Campi Elisi ricompattando la nazione dopo l’attentato a Togliatti. Ma soprattutto vincendo la corsa francese come uno dei più anziani conquistatori, in giallo, nella capitale Parigi, tra l’ammirazione dei francesi, che difficilmente hanno applaudito un italiano.

Quel Tour rappresentò un capolavoro di audacia, di coraggio, di tenacia, proverbiale, per un toscano. Gino Bartali deve recuperare 23 minuti di svantaggio a Louison Bobet, e vince la epica tappa Cannes-Briancon, che prevedeva la scalata del Colle d’Allos, del Colle de Vars e del gigante Izoard, dove è ricordato, Bartali, con una stele omaggio dei tanti sportivi italiani e francesi. Il giorno dopo vinse la Briancon-Aix-Les-Bains di 263 scalando da solo il Lautaret e il complicato Galibier. Arriva primo a Crox-de-Fer e prende la maglia gialla. Una delle più grandi imprese sportive d’ogni tempo.

Tra le sue vittorie meraviglioso il rapporto con la Milano-Sanremo, vinta 4 volte, e con il Giro di Lombardia, conquistato in 3 occasioni.

Nel 1951 e nel 1952 aiuta Coppi a vincere due volte il Tour, e, a 38 anni, conquista la maglia tricolore, ultimo grande acuto di un meraviglioso cammino. Gino Bartali è Campione d’Italia.

Nel 1953, a 39 primavere, Ginettaccio vince il Giro della Toscana ma in una successiva gara subisce un incidente che gli fa rischiare l’amputazione della gamba destra, per fortuna scongiurata.

Rientrò per un’ultima Milano-Sanremo, che non vinse, riscuotendo, però, l’applauso per tutto il percorso, dei tantissimi sportivi, grati, per il suo immenso impegno, e per i successi firmati dal grande ciclista di Ponte a Ema.

Gino chiuse l’attività sportiva a Città di Castello, dove ottenne un circuito, per l’occasione, in mezzo a quelle strade che furono, con la popolazione umbra, capace di proteggerlo. Accadde nel 1954, pochi anni dopo la fine della guerra.

Lui nel 1950 aveva donato 100.000 pesetas alla Sagrada Familia di Barcellona, perché continuassero i lavori, infiniti, di una opera unica al mondo.

Nel 1959 aveva ricucito lo strappo con il suo ex rivale, Coppi, che aveva imboccato una fisiologica parabola discendente. Portandolo nella sua squadra, la San Pellegrino Sport. Ma un viaggio in Alto Volta sarebbe costato, il 2 gennaio 1960, la vita, per malaria, al buon Fausto. Fu un ulteriore momento di sofferenza, per Gino Bartali. Che aveva deciso di mettere da parte il Ciclismo criticandone certe malversazioni quali il doping, gli ingaggi eccessivamente onerosi, e qualche forma di corruzione.

Preferendo di passare le estati sulla montagna, a Pistoia, nel paesino di Spignana. E anche il resto dell’anno con la moglie, Adriana Bani, sposata nel 1940 a Firenze, e coi tre figli, Andrea, Luigi e Bianca.

Da ricordare che Gino Bartali ha condotto nel 1992 il TG satirico Striscia la Notizia su Canale 5 confermando di essere un grande comunicatore. Come aveva dimostrato, in una storica puntata del Musichiere, con Riva conduttore, in cui era ospite e cantava con Fausto Coppi. Un episodio passata alla storia del piccolo schermo.

Gino Bartali è morto per un problema cardiaco il 5 maggio del 2000 a Firenze, e riposa nel natio paese di Ponte a Ema.

Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in tempi postumi la sua morte, nel maggio del 2005, ha consegnato alla moglie di Gino, al Quirinale, la Medaglia d’Oro al Merito Civile. Il 2 ottobre 2011 Bartali è stato inserito nel Giardino dei Giusti del Mondo a Padova per l’aiuto offerto agli Ebrei durante la guerra. Per la meritoria attività civica svolta con le due ruote Gino Bartali il 23 settembre 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Stato d’Israele, dallo Yad Vashem, memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto fondato nel 1953. Un riconoscimento per i non ebrei che hanno rischiato la vita per salvare la vita anche di un solo ebreo, durante le persecuzioni naziste.

Questa attività è descritta nel libro “Gino Bartali mio papà” scritto dal figlio Andrea. Una lunga e preziosa ricerca di testimonianze fatte con la nipote del campione, Gioia.

Il 16 maggio 2017, alla vigilia della partenza dell’undicesima tappa del Giro d’Italia (da Ponte a Ema a Bagno di Romagna), la squadra israeliana Cycling Academy, fondata da Ron Baron, ha organizzato una corsa con partenza dalla stessa Ponte a Ema fino ad Assisi. Lo stesso tragitto che ‘Ginettaccio’ percorse molte volte per aiutare gli ebrei perseguitati.

Il 22 aprile 2018, il portavoce di Yad Vashem, Simmy Allen, conferma la notizia, anticipata dal sito “Pagine Ebraiche”, secondo la quale Gino Bartali ha ricevuto la nomina postuma a cittadino onorario di Israele, nel corso di una cerimonia il 2 maggio dello stesso anno, due giorni prima della partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme.

In televisione è stato egregiamente interpretato da Pierfrancesco Favino, attore di spessa bravura capace di rendere agli spettatori molti aspetti, del campione toscano.