Di Bartolomei raccontato dal telecronista RAI Giorgio Martino
Il Capitano della Roma, il suo percorso iniziato dall’oratorio
dove fu notato dal Commendator Crociani, leggenda del calcio giovanile italiano
Giorgio Martino è intervenuto su Radio Cusano Campus il 30 maggio, per un sentito ricordo del ragazzo, dell’uomo, prima che del calciatore e del Capitano dell’Associazione Sportiva Roma. Il popolare telecronista RAI, per tanti anni impegnato nel Calcio, nel Ciclismo, in una irripetibile squadra con Adriano De Zan e Vittorio Adorni, ha parlato ai microfoni di “Sport Academy”.
Un tuo ricordo personale e professionale del Capitano.
“Ho vissuto professionalmente tutta quanta la carriera, di Agostino Di Bartolomei. Credo proprio di averlo potuto conoscre non solo come calciatore ma qualcosa di più approfondito: perché Agostino, al di là della sua ritrosia, del suo modo di essere schivo, era una persona con la quale si poteva parlare in maniera molto gradevole. Era un’epoca in cui, il giornalista, se voleva, e io spesso lo volevo, poteva ampliare il rapporto sul piano umano, oltreché professionale. Oggi è difficile a quell’epoca si poteva essere se non proprio amici, si poteva avere una conoscenza più diretta della persona, oltreché dell’atleta, che fosse un campione del calcio, del ciclismo, dell’Atletica Leggera. Quindi il rapporto che riuscivamo ad avere era certamente profondo. Ecco perché si potevano conoscere tanti aspetti, molti risvolti. Agostino era un emblema di un calcio che oggi dobbiamo rimpiangere. Lui per esempio era uno di quelli che aveva cominciato con l’oratorio: e chi ha vissuto quell’epoca sa quanto fosse importante, aver cominciato a dare i primi calci al pallone. Lui lo aveva fatto nell’oratorio del San Filippo Neri. Rivera ha cominciato in un oratorio. Voglio citare dei calciatori che sono stati nella storia del calcio italiano nella seconda metà del secolo scorso”.
Lo stesso Giovanni Trapattoni ha iniziato a calciare un pallone in un chiostro parrocchiale…
“Per l’amor di Dio. La nascita sportiva e la stessa presenza dell’oratorio era fondamentale, per far nascere il calciatore perché in quell’ambiente c’era spesso uno scopritore di talenti che lo vedeva. E, secondo momento, lo vede Walter Crociani”.
Una figura storica del settore giovanile.
“Sì, ma di tutto il calcio italiano. Anche se noi romanisti lo vogliamo simpaticamente accostare alla Roma perché per la Roma, con la Roma ha fatto tanto, il Crock. Ma era un genio del calcio italiano, assoluto, non solo dei giallorossi”.
Giorgio, il Crock, poi, lo mise in mano a un grande uomo, prima che a un efficace tecnico, che era ed è stato Orlando Di Nitto. Proprio due giorni raccontavamo di cosa avesse detto Di Nitto a Liedholm, di Conti e Di Bartolomei. Ne abbiamo parlato con Francesco Repice. Orlando Di Nitto disse al Barone: “Non farli stare troppo con la Primavera, mandali dopo sei mesi in prima squadra perché sono già pronti”.
Giorgio Martino: “E così andò. Tu hai ampliato il discorso, io ti ho voluto mettere la figura del Crock per l’importanza di certi personaggi, per lo sviluppo della carriera di alcuni calciatori. E di quel tipo di personaggi sentiamo la mancanza. Crociani non può essere ancora vivo. Ma personaggi come lui e di istituzioni come l’oratorio ne sentiamo la mancanza, la necessità. A 14 anni Agostino era inserito nel vivaio della Roma. E anche qui c’è un forte rimpianto, se pensiamo al periodo odierno: perché la Roma ha sempre avuto una tradizione fantastica. Basta pensare a Orlando, Menichelli, De Sisti, Guernacci, poi arriviamo a Di Bartolomei, Giannini, Totti, Florenzi e Pellegrini, per dire la storia di questo vivaio. E oggi mi fa un po’ di sensazione strana, vedere le partite della Primavera nella quale non c’è neanche un italiano. Non dico un romano. Sembra che la fonte dei calciatori a Roma si sia inaridita, di ragazzi del posto. Una società che ha nelle sue file o che ha avuto, ha prodotto fior fiori di calciatori come quelli che non riesce più a farlo, è un peccato. E io ho lasciato perdere Desideri, Tempestilli, ecco, sennò qui riempiremmo la trasmissione solo coi nomi dei calciatori. Improvvisamente non c’è più uno di Roma o che è di Roma che non riesce ad arrivare alla Primavera della Roma. Tornando ad Agostino fa tutta la trafila. Poi va a farsi le ossa a Vicenza, una volta superata l’età della Primavera. Lui andò al Lanerossi Vicenza”.
Era il primo Vicenza del primo Farina, quello che contese le prime piazze a Perugia e Milan, Juventus e altre.
“Sì – dice Martino – e fece quella sparata per Paolo Rossi alla Juventus: poi lo ricordiamo anche per altri eventi… Farsi le ossa significava andare, avere un approccio pratico, concreto, che non fosse più quella del settore giovanile, e tornare alla casa madre e cominciare la propria carriera. Agostino ha avuto la fortuna che il tutto è quasi coinciso con l’arrivo di Liedholm, un altro personaggio inimitabile. E l’intuizione di Liedholm, non voglio dire fosse più bravo degli altri allenatori, perché è sempre soggettivo, il giudizio, ma aveva delle idee più avanti rispetto a diversi, di quel periodo. Non a caso l’intuizione di fare di Di Bartolomei un difensore centrale sfruttando la velocità e la rapidità di Vierchowood”.
Tanto che il Milan e la Roma si contendevano, in diversi periodi, lo svedese vice-campione del mondo nel 1958…
“Non a caso la sua Svezia vinse le Olimpiadi 10 anni prima nel 1948. Stiamo parlando di personaggi di grande livello atletico, e tecnico, come allenatore, al di sopra dei suoi contemporanei”, afferma, con decisione, l’apprezzato telecronista della TV di Stato e poi direttore di Roma Channel.
Quella frase di Agostino Di Bartolomei è una frase vera, non è stata una di quelle da social network “Ci sono i tifosi di calcio poi ci sono i tifosi della Roma”. Il che dà la dimensione del rapporto tra il Capitano e i tifosi della Roma.
Martino dice la sua: “Sai, questo ci fa piacere perché sotto questo aspetto tendo a rispettare anche gli altri. Nel senso che io sono nato a Roma, sono tifoso della Roma, mi sento orgogliosamente legato alla storia, alle vicende, della Roma. Però chiunque non posso non capire che chi sia nato da altre parti del mondo non credo sia meno legato, orgogliosamente, alla società che sceglie di tifare o ai personaggi di cui innamorarsi. Non faccio una questione di primato; non sono tifoso più bravo di tifosi di un’altra squadra. Che è diverso. E di conseguenza questi uomini che ho citato, da Crociani a Liedholm, sono stati personaggi dei quali sono andato sempre fiero, per averli conosciuto e per essermici rapportato per motivi di lavoro. Così come la conoscenza personale di Agostino”.
Taciturno, ma di profonda serietà e senso di amicizia
Assolutamente. Quella era un’epoca in cui il giornalista riusciva, se voleva, ad avere una conoscenza più approfondita, dell’atleta. Ecco perché ricordo con particolare affetto personaggi come Agostino”.
Che capitano è stato, al di là di come poi, tragicamente, è andata a finire? Pensi sia solo per lo scudetto, che i tifosi della Roma ricordano Agostino?
Martino è, come sempre, diretto: “Penso di no. Tra l’altro lo scudetto è arrivato a coronamento, di un periodo. Erano ormai sei, sette anni, che Agostino era diventato un calciatore di primo piano, per la Roma. In una carriera che era salita, e di conseguenza, c’era stata questa evoluzione, anche tecnica, del calciatore. Una volta, Vicini, tecnico dell’Under 23 e poi dell’Under 21, mi ha detto, su Di Bartolomei: “Un calciatore come lui per noi allenatori è una risorsa perché un centrocampista anzi una mezzala, come si diceva in quel periodo, che ha capacità di segnare non solo su tiro piazzato, ma anche nello svolgimento dell’azione, è una rarità e arricchisce il parco-giocatori”. Quindi l’evoluzione di Agostino è stata notevolissima, al punto da farlo diventare il leader, il capitano. Significa il personaggio che viene rispettato, per il carisma, dentro e fuori la squadra, e ti posso assicurare che chiunque riconosceva questo carisma, ad Agostino. Che era visto come un simbolo. Ecco perché ha colpito tanti, quell’affrettato divorzio del 1984, rimasto non incomprensibile. Perché Eriksson era stato chiaro, su una visione del Calcio diversa. Che automaticamente escludeva Di Bartolomei per questa storia della sua presunta mancanza di velocità, che poi sarebbe tutta da approfondire. Era più importante fare andare veloce la palla, il pensiero, le gambe”.
Come avrebbe fatto Totti, poi…
“E’ naturale. Ora ci addentreremmo in un discorso tecnico-tattico che ci porterebbe troppo lontano”.
Poi entra nel dettaglio: “Tuttavia quel divorzio, affrettato e frettoloso, dopo un altro 30 maggio, quello della finale col Liverpool, fu comunque incomprensibile. Non nel senso che non lo abbiamo compreso, ma non era giustificabile. Non si pensava che un patrimonio così importante, anche a livello societario, potesse essere mandato via così, francamente non era pensabile. Distruggere o mortificare un patrimonio come Di Bartolomei, non lo giustifico”.
Con un tecnico può accadere, con un calciatore, e di quella portata…
“L’allenatore ci può stare: Liedholm aveva fatto un primo ciclo con Anzalone, poi fu una intuizione pregevolissima, di Dino Viola. Che disse “Se prendo la Roma, riparto da Liedholm”. Poi comunque quel ciclo era arrivato alla fine, con la conquista dello scudetto, e con la finale di Coppa dei Campioni, ci può stare, che un tecnico vada da un’altra parte. Di Venguère ce n’è uno: tutti gli altri fanno in maniera diversa. Per il giocatore, soprattutto un capitano, un giocatore della città, un simbolo, è diverso. Credo che sia stata un’operazione felice”.
Poi si ritrovò con la maglia del Milan fu una cosa particolare, vederlo segnare, a San Siro” alla sua Roma!
“Questo rientra nella logica della professione, del professionista”.
A livello personale, che idea ti sei fatto, della solitudine che portò Agostino a quell’estremo gesto, che oggi faremmo di tutto per cancellare, se avessimo una moneta, per dare una carezza alla persona, più che al calciatore?
Martino tratta la cosa con grande sensibilità: “Non voglio entrare in certe cose troppo personali, intime. L’ho seguito, grazie ad alcuni amici, di Cesena, nel periodo cesenate, di Di Bartolomei. Dopodiché lui andò alla Salernitana l’ho perso di vista, quindi non possi dire quale fosse il suo stato d’animo, successivamente, alla fine della carriera agonistica. Mi pare che lo rividi una volta perché andai a fare un servizio proprio su quel progetto proiettato verso i giovani, che stava facendo a Salerno. Era un rapporto a quel punto distante, non più per conoscere intimamente la persona e soprattutto i suoi problemi. Però io non escluderei che questo distacco da Roma, penso per lui traumatico, devo immaginare un Di Bartolomei che si trasferisce a Milano non felicissimamente, non in maniera serena”.
Non del tutto convinto.
“Certo, non convinto dell’operazione, dalla necessità, di dover fare quella cosa, non convinto dalle giustificazioni della separazione deal suo ambiente. Devo immaginare che questo abbia comportato qualche trauma che poi si è evidentemente stratificato con altre cose che io non conosco. Conosco Di Bartolomei fino al 1984”.
Se oggi gli potessi dire GRAZIE, come lo faresti, in qualche maniera?
“Ma io gliel’h detto tante volte, GRAZIE. Sapeva della mia stima. L’atleta posso fare questo riferimento alla professione, che fosse un calciatore o di un altro sport, è capace di intuire il rapporto che c’era col giornalista. E la relativa sincerità, della stima. Quando non gli si dice bravo così, per dire; ma perché c’è la convinzione, da parte del giornalista, come atto di stima, nei confronti dell’atleta. Sotto questo aspetto il GRAZIE gliel’ho più volte detto, ripetutamente, nel corso della sua carriera, magari con una battuta nelle interviste, con una frase, con un ammiccamento. Devo dire che Agostino non fosse uno di quelli che dicessero tante parole: non c’era la necessità, su quelle registrate, di tagliare. Devo dire che, pur non essendo Agostino uno che dicesse tante parole, quello che veniva fuori era sempre completo, un racconto come spiegazione, sia come analisi. E soprattutto, come sincerità. Agostino ha detto sempre cose, oggi diremmo, non banali, neanche all’epoca, attenzione. Se c’era da fare un commento, magari anche negativo, sapeva conoscere i termini per farlo”.
Io dico GRAZIE a te che ci hai portato per mano in un ambito delicato, per come è andata a finire, ma di sicura e spiccata capacità descrittiva e umanità. Con la ripromessa di sentirci in altre occasioni.
“Ci sentiamo molto volentieri. Ciao”.