Francesco Repice e Franco Brizi a 12 mesi dal ritiro del Capitano della Roma

 

Il Calcio e Totti commentati da Francesco Repice

il miglior radiocronista sportivo contemporaneo

 

Francesco Repice e Franco Brizi hanno scritto un libro a quattro mani, che incuriosisce parecchi appassionati di Calcio: “Un anno senza Totti”. Il popolare e apprezzatissimo radiocronista più popolare della RAI è intervenuto a “Sport Academy”, rubrica quotidiana di informazione sportiva in onda sull’emittente dell’Università Niccolò Cusano, Radio Cusano Campus 89.1 (in tutto il mondo ascoltabile su www.radiocusanocampus.it).

I punti toccati non hanno riguardato solo il Capitano storico dell’A.S. Roma ma anche Gigi Buffon e il futuro immediato, e l’addestramento dei giovani calciatori. Il titolo arriva, diretto, al cuore…

“E’ abbastanza esauriente, immagino, per quello che ha significato Totti per questa città, e quello che è stato un anno senza di lui con la maglia della Roma addosso, fisicamente. Siamo tornati indietro di qualche anno, abbiamo cercato di raccontare qualche storia rivivendo delle emozioni che lui ci ha fatto vivere per 25 anni”.

Come è nata, la cosa?

“E’ stata un’idea estemporanea, di quelle che nascono così: la casa editrice ha voluto che questo libro fosse scritto attraverso le immagini e le raccolte dei giornali che hanno scandito gli ultimi 25 anni, in bianco e nero. Si trattava di scegliere chi avrebbe scritto i testi, apparecchiato le fotografie e la scelta è caduta su di me, e io sono stato onorato di rispondere positivamente e di mettermi al lavoro”.

Cosa ha voluto dire aver vissuto senza di lui in campo?

“Tecnicamente un impoverimento spaventoso. Poi, Max, seguendo bene anche tu bene il Calcio sai benissimo che tutti i nodi vengono al pettine e il livello si abbassa. Non parlo solo di Roma, eh!?, ma parlo anche della Nazionale, visto che sono a San Gallo e si gioca questa partita con l’Arabia Saudita. E’ chiaro che la sera che Andrea Pirlo ha lasciato il Calcio e facevano parte di quella generazione degli anni ’70, è ovvio che il paragone con ciò che succede oggi, divenga impietoso ed è ovvio che la mancanza di Francesco Totti calciatore abbia inciso tantissimo in chi raccolta Calcio, in chi in qualche modo si è appassionato alle vicende della Roma, della Nazionale e di questo sport in generale. E’ una mancanza che si sente, una lacuna che non è stata ancora colmata, probabilmente non si colmerà mai. La Roma ha avuto la fortuna di avere il calciatore italiano più forte di tutti i tempi, con la sua maglia, con la fascia di capitano e addirittura con il suo tifo. Meglio di così non credo potesse andare”.

Volessimo fare un paragone con la Storia dell’Arte, è come immaginare Firenze senza le opere di Brunelleschi e di Giotto.

Repice dice: “Sì, il problema è che Brunelleschi e Giotto te li godi per sempre, nella loro maestosità. Francesco Totti, fatte le debite proporzioni tra l’Arte e il Calcio, che a suo modo è un’arte, te lo puoi andare a vedere nei filmati di repertorio e ti puoi fare ancora più male. Tutto questo da un calciatore italiano chissà quanto dovremo aspettare, per vederlo”.

Si dice sempre che nel caso di Dino Zoff, Francesco Totti, Paolo Maldini, o, nel Basket, Dino Meneghin, ne nascano uno ogni 50 anni. Speriamo prima?!

“Speriamo prima ma, sinceramente, all’orizzonte, non vedo particolari talenti che stanno per sbocciare. Faccio un esempio: quando arrivò dal Padova alla Juve Alessandro Del Piero tutti sapevamo che Del Piero fosse un giovane su cui puntare. Tu vivi a Roma, lo sai: quando si cominciava a parlare di Francesco Totti, la voce girava, che fosse un fenomeno, fin da ragazzino. Ci sono calciatori, che annunciano il loro futuro. Io non ne vedo, in giro, come accadde per Roberto Baggio, a Buffon, a Del Piero, a Totti”.

Per il lavoro da fare sui vivai, di quanti anni necessita, il movimento azzurro, almeno per costruire un gruppo coeso, compatto, non concentrato sui singoli egoismi?

“Penso una cosa, riferita agli addestratori. Ho avuto modo di vedere squadre giovanili, di Esordienti, a Roma e in giro per l’Italia. Ho avuto l’impressione che questi ragazzi lavorino tanto sul fisico tanto sul lavoro di squadra, poco sulla tecnica. Credo che il pallone sia una questione di tecnica. Giuseppe Giannini dice una cosa fondamentale: “Per giocare al Calcio serve una cosa. Che cosa? Bisogna saper giocare al Calcio. Ho l’impressione che lavorino tanto sul fisico, sulla corsa, sul potenziamento muscolare, sulla tattica di squadra, e quindi le diagonali, e quindi lo scalare la marcatura, l’aggressione sulla seconda e sulla terza palla. Però penso che bisognerebbe far lavorare questi ragazzi col pallone tra i piedi, possibilmente su un terreno non soffice, non di erba, ma sul cemento e sulla pozzolana. Perché per quanto strano possa sembrare, e anacronistico possa apparire, l’equilibrio è un fatto importante, nel Calcio. Il pallone, sul cemento e sulla pozzolana rimbalza più velocemente; e se caschi ti fai male, e quindi fai di tutto per non cadere. E acquisti equilibrio in velocità, coordinazione, per controllare la palla, dribblare l’avversario, agire di fantasia, d’istinto. Credo che manchi questo, agli addestratori dei giovani. Se non si torna a quella roba lì, la vedo dura, veramente molto dura”.

Mentre dicevi queste cose mi è venuto in mente uno che allenava gli Allievi Professionisti dell’A.S. Roma nella seconda metà degli Anni ‘70. Era Mister Orlando Di Nitto. Disse al Barone Liedholm: “E’ inutile che fai transitare troppo quei due – erano Conti e Di Bartolomei –, perché già sono già pronti per il piano di sopra. Quanto ci aveva visto lungo?! E Orlando allenava i ragazzi a fare battimuro”.

“Caspita, se lo faceva”, commenta lo stimato radiocronista dell’Ente di Stato. “Se voi pensate che Nils Liedholm, dopo l’allenamento, faceva fare battimuro a Falcao e Proahska, capite tutto”.

Parliamo delle radici del Calcio, Francesco.

“Sì, parliamo di quello. Purtroppo, rispetto agli altri Sport il Calcio ha quell’attrezzo sferico che ci devi avere a che fare; lo devi trattare coi piedi. E’ complicato, altrimenti. Anche se è bello vedere giocatori forti fisicamente, che corrono, che ti vengono addosso con determinazione, con grinta. L’altra sera vedevo la finale di Coppa dei Campioni Real Madrid-Liverpool: c’è questo modo di giocare di Jurgen Klopp che abbassava i difensori, lasciandone tre davanti, mandare palla lunga e, sulla respinta della difesa, andare all’aggressione della seconda palla. Tutto molto bello da vedere. Poi quando Kroos, Modric, e Casemiro, e Cristiano Ronaldo, e Benzema, e Bale, si mettono a giocare a pallone, è finito tutto”.

Si spegne la luce!

Repice è diretto: “Allora lì puoi inventarti tutto quello che ti pare. Il problema è che quello (Bale) entra in campo, vede un cross, Marcelo la mette col destro, che è uguale, come fosse di sinistro, la mette lì, in quella maniera mobile, e quello dice: adesso che faccio? Faccio la rovesciata e la metto lì, sotto l’incrocio dei pali. Hai voglia, a parlare di tattica”.

Scherzando, Marcelo di contestabile ha soltanto il barbiere…

Risponde col sorriso: “Sì, lui ha questo modo discutibile di pettinarsi, di portare i capelli. Per il gioco del Calcio mi sembra che prima di lui c’era Roberto Carlos, a sinistra. E mi pare che ci sia una certa differenza, con gli altri: e alla fine quella differenza fa in modo che la Coppa dei Campioni vada anzi rimanga a Madrid, e non vada a Liverpool”.

Dove l’hanno incastonata.

“Eh sì, non c’è niente da fare. Ma fino a quando finché gli addestratori italiani non cominceranno a lavorare sui ragazzini, sui terreni di pozzolana, col pallone che schizza via, sui controlli, sul dribbling, sulla fantasia, sull’intraprendenza, sul guizzo geniale, col battimuro, non se ne uscirà. Perché la differenza non l’hanno mai fatta i sistemi di gioco ma i calciatori”.

Una provocazione che è una provocazione, che tu, raffinato schermidore, saprai dribblare. Quando è che a battimuro, idealmente, riusciremo a far allenare i dirigenti per creare un’apposita scuola, in federazione?

Repice va al sodo: “Il problema è che più che i dirigenti, credo sia necessario costruire una scuola di pensiero, che non deve passare per i cartellini dei giocatori. Perché chi gioca pensa a rastrellare qualche euro. Non c’è da fare: se non ci rendiamo conto, che i ragazzini a 16 anni, fino a lì, si devono divertire, con il pallone tra i piedi”.

Tornando al libro, Totti ha rinunciato alle lusinghe del Real Madrid. Quanto è grande, l’amore per quei colori, e per l’A.S. Roma?

“Non sarebbe rimasto lì neanche adesso, no, Max?! Ha ricevuto offerte da ogni campionato di tutto il mondo, eppure preferisce, per carità, assai ben retribuito, rimanere a Roma e restare dirigente della Roma. Sono quelle storie che nascono così, che sono destinate a morire così, non c’è altra possibilità. Probabilmente lui si trova in quel mondo a suo agio, da altre parti non si troverebbe così. Oppure come dicono quelli che amano Francesco Totti, e io, tra questi, Francesco ha superato il concetto di vittoria e di sconfitta. Alla Juventus il motto è: “Vincere non è importante, vincere è l’unica cosa che conta”. Se voi chiederete a un tifoso della Roma: preferiresti vincere 5 Champions di fila o avere altri 5 anni sotto contratto Francesco Totti? Vi garantisco che la risposta è la seconda. E’ stato talmente grande da compenetrare e assorbire l’essenza del tifoso della Roma. Probabilmente con Totti in campo il tifoso della Roma rinuncerebbe a qualsiasi vittoria”.

Prima ho fatto un accostamento della Storia dell’Arte al Calcio. Tu che sei un perfezionista dell’impiego dei vocaboli, quando Totti ha detto a Buffon, con fraterna delicatezza “Io so cosa significhi farmi smettere di giocare, tu decidi con la tua testa, non far decidere gli altri, quello già ti dice la dimensione umana di Francesco Totti.

“Lui ha sostanzialmente era convinto di continuare a giocare al Calcio e nella Roma; fuori dalla Roma non si vedeva. È innaturale giocare al Calcio senza quella maglia addosso. Per cui quando si rende conto che Gigi Buffon può giocare anche con un’altra maglia che non sia quella della Juventus, perché nei fatti è successo perché viene dal Parma, e ha ancora voglia di giocare, gli dice: Decidi da solo non far decidere agli altri. La cosa importante è come ci si sente”.

Poi parla di Buffon e della Nazionale, il radiocronista più conosciuto della RAI.

“Potrei approfondire il concetto domandando: esiste un portiere, italiano, intendo, attualmente, più forte di Buffon?”.

Ora no.

“Ecco, basta, chiuso il discorso”.

Stavolta sei stato efficace per capacità di sintesi.

Repice aggiunge: “Tanto è che Italia-Olanda non è la partita di addio. Io me ne vado, vado al Paris Saint Germain, se volete mi convocate, ma perché sono forte tecnicamente. Ho come l’impressione che Buffon torni in Nazionale, senti cosa ti dico. Perché occorre ritrovarne uno più forte”.

Semplice, non ce ne sono. E’ evidente che ci si perda forse poco tempo, dall’ottica dei preparatori. Repice dice, deciso: “Non so dove stia, il vulnus della questione: e non mi pare che ce ne sia uno, più forte. Non mi pare una cosa semplicissima”.

Ti paresse facile, come dicono in Spagna. Da profano, il libro si trova dappertutto?

“Adesso c’è il web, basta ordinarlo, e arriva”.

Te lo dico, Francesco, perché c’era una libreria famosa, in Piazza Bologna, e anni fa un gigante del commento sportivo, Sandro Ciotti, aveva scritto un’opera, che non si sarebbe più trovata.

“Quel libro non si è più trovato semplicemente perché finì, non fu più ristampato. Era “Il Profeta del gol”, e non avevano più la voglia di ristamparlo. Fu venduto in men che non si dica. Si esaurì. Però mai misurarsi con quei mostri sacri a cui non si potrà mai arrivare. Lasciamoli stare, i mostri sacri”.

Io non volevo fare questo commento ma dopo Ciotti e Ameri siete arrivati te e Riccardo Cucchi, senza dimenticare Alfredo Provenzali, per carità di Dio, con tutto il rispetto per gli altri.

Repice risponde in maniera meravigliosa: “Sì ma sono venuti anche altre colleghi, pur mettendoci Alfredo, Claudio Ferretti, ma quei picchi là è inarrivabile. D’accordo che non ci fossero né la concorrenza né le piattaforme televisive, d’accordo che le immagini televisive giungessero alle 18.30, ma il racconto di Sandro (Ciotti) e di Enrico (Ameri) è stato inarrivabile. Lasciamo stare”.

Mi fai una promessa che torneremo ad affrontarlo, un argomento così profondo?

“Questo sì”.

Perché fa parte della storia sociale, prima che sportiva e giornalistica, della nostra nazione.

“Fa parte di una società che non era evoluta, tecnologicamente, probabilmente più felice”.

A nome dei tifosi della Roma e dei semplici appassionati del Calcio se dico “GRAZIE” sono banale, Francesco Repice?

Risponde sorridendo: “No, no. Un GRAZIE fa sempre piacere: è sempre una parola gentile, adesso che di gentilezza ce n’è davvero poca, in giro. Soprattutto di questi giorni di parole a sproposito. Una gentilezza fa sempre piacere”.

Come direste te e Cucchi: “Grazie della cortese attenzione”.